L’emergenza alimentare tocca anche noi
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 04 Luglio 2010
Qui a Pechino, in questi giorni, si è svolto un convegno internazionale sulla sicurezza alimentare in Cina e nel mondo. In un periodo in cui i prezzi agricoli sono ben lontani dalle punte raggiunte due anni fa e in cui sono soprattutto gli agricoltori a lamentarsi dei prezzi troppo bassi, il tema potrebbe apparire non particolarmente urgente. Soprattutto in un mondo in cui si è fatta l’abitudine al fatto che un miliardo di persone rischia quotidianamente la fame ed un altro miliardo vive al limite della sussistenza.
Eppure il tema viene proposto con la massima enfasi e con altrettanta urgenza non tanto da una sede accademica quanto dall’Istituto Internazionale di Studi Strategici, che ogni anno sceglie di dibattere il tema che più di ogni altro potrà condizionare gli equilibri politici e militari del nostro pianeta.
Il cibo torna ad essere il numero uno. Non solo perché ogni giorno la terra deve nutrire 220.000 persone in più, ma perché i cittadini del mondo tendono a migliorare sempre di più la loro dieta.
Nel prossimo e nel più lontano futuro avremo quindi bisogno di sempre più cibo. L’attuale organizzazione dell’agricoltura mondiale non è tuttavia in grado di venire incontro a questa sfida. Dopo la grande rivoluzione verde che, tra gli anni Sessanta agli anni Ottanta del secolo scorso, ha aumentato la produttività nell’agricoltura mondiale del 4% all’anno, siamo entrati un un periodo in cui essa progredisce a mala pena dell’1% all’anno.
Le cause di questo cambiamento sono molteplici e vanno da una generale diminuzione degli investimenti in ricerca e sviluppo in agricoltura al deterioramento delle qualità del terreno dovuto al disordinato sfruttamento. A questo si deve aggiungere l’urbanizzazione selvaggia di molti fra i terreni più fertili. E, ancora, bisogna tenere conto dell’inquinamento e dell’abbassamento delle falde acquifere. Quest’ultimo è addirittura un problema angosciante dato che, se ogni essere umano beve in media due litri di acqua al giorno, ne occorrono duemila per produrre il cibo che lo stesso individuo consuma quotidianamente (quasi un litro per ogni caloria). A rendere più probabile una futura scarsità di cibo contribuisce infine una sciagurata politica che tende ad incentivare oltre ogni misura l’uso del suolo agricolo non per produrre cibo ma energia. Se oggi vi è ancora nel mondo un certo equilibrio fra la domanda e l’offerta di cibo è solo perché vi è un miliardo di persone affamate e un altro miliardo sottonutrite.
Tenendo conto di tutti questi fatti abbiamo di fronte a noi il tremendo compito di nutrire decentemente nove miliardi di persone, raddoppiando la produzione agricola da qui al 2050. È una sfida difficile da vincere ma con conseguenze drammatiche se essa viene perduta.Occorre quindi agire prontamente nell’elaborare una comune linea d’azione a livello mondiale, in primo luogo aumentando lo sforzo di ricerca e sviluppo in agricoltura, affiancando ad esso strutture capaci di diffondere le migliori tecnologie anche nelle aree più arretrate. In secondo luogo bisogna porre fine alla concorrenza fra energia e cibo ponendo limiti agli incentivi alle produzioni non agricole. In terzo luogo è necessario mettere un ordine alla progressiva espansione delle aree urbane ed infine vanno messi in atto enormi investimenti per adottare sistemi di irrigazione più efficienti specialmente intorno ai grandi fiumi (come il Nilo) che non sono più in grado di portare acqua a tutte le terre circostanti. E tanta altra acqua dolce dovrà essere ricavata utilizzando nuove forme di energia per desalinizzare l’acqua del mare. Se non metteremo in atto queste politiche con uno sforzo veramente globale noi assisteremo inevitabilmente in un breve periodo di tempo a un inaccettabile aumento dei prezzi agricoli, con altrettanto inaccettabili conseguenze di fame e violenza.
Non crediamo che questi problemi non ci riguardino in quanto, come europei, possiamo vivere tranquilli nella nostra sicurezza alimentare.
Per toglierci questa illusione la signora Anthea Webb, responsabile dell’ufficio di Pechino del programma alimentare delle Nazioni Unite, ci ha ricordato che in ogni Paese in cui scoppia una carestia vi sono solo tre alternative. O si accetta la morte o si emigra in massa o ci si ribella con la violenza. Credo che sia doveroso evitare ad ogni costo tutte e tre queste alternative.
PS. Abbiamo giustamente messo in rilievo quello che i governi e i responsabili politici debbono fare. Tuttavia qualcosa deve cambiare anche nel nostro comportamento quotidiano se in un Paese forzatamente parsimonioso come la Cina il 16% del cibo viene in diverse maniere sciupato e gettato e il 20% è utilizzato per fornire calorie in eccesso. Immaginiamo quale possa essere la situazione dei nostri Paesi!