L’Euro ci ha protetto, ora facciamo l’Europa
L’Euro ci ha protetto, ora facciamo l’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 31 dicembre 2011
Dieci anni fa, allo scadere della mezzanotte tra il 31 dicembre del 2001 e il primo gennaio del 2002, ho compiuto, insieme al cancelliere austriaco, il primo acquisto in euro. In un chiosco di una Vienna in festa abbiamo comprato un beneaugurante mazzo di fiori per le nostre rispettive consorti.
L’atmosfera gioiosa non era fuori luogo perchè, con quel gesto simbolico, si celebrava un avvenimento di importanza storica: per la prima volta un folto gruppo di Paesi abbandonava la propria moneta per abbracciare una valuta comune. Con questa decisione essi rinunciavano a uno dei due fondamenti della sovranità, cioè la moneta, in attesa di condividere con i Paesi fratelli anche l’altro pilastro della Stato moderno, e cioè l’esercito. Una decisione che voltava definitivamente le spalle al passato europeo di guerre e di sangue e che, nello stesso tempo, era in grado di inserire l’Europa tra i grandi protagonisti della politica e dell’economia mondiale. Con la moneta unica l’Unione Europea si candidava a entrare tra i costruttori della globalizzazione ormai in corso e non più arrestabile.
Il traguardo dell’euro coronava un cammino lungo e difficile, durante il quale le politiche dei diversi Paesi avevano dovuto adattarsi alle regole comuni con l’adozione di cambiamenti radicali. A partire dall’Italia, che aveva accumulato ingenti debiti e aveva vissuto gli ultimi trent’anni in una devastante inflazione e una continua svalutazione. Fu quindi un cammino molto difficile e si arrivò al traguardo solo per la comunanza di obiettivi da parte dei leader dei principali Paesi europei: Germania, Francia, Italia e Spagna decidevano di mettere definitivamente in comune il proprio destino.
Non ci nascondevamo le difficoltà di un simile decisione ed eravamo coscienti che a questa ne dovevano seguire altre, perchè non è possibile avere una moneta comune senza condividere le linee di una comune politica economica. Ricordo quante volte sollevai questo problema, ammonendo che senza realizzare quest’obiettivo una crisi sarebbe stata prima o poi inevitabile. Ricordo le sagge risposte del cancelliere Kohl, che replicava dicendo che nemmeno Roma era stata edificata in un giorno e che le decisioni necessarie per fare convergere le politiche economiche sarebbero state prese in seguito, con il tempo e la ponderazione necessari. Una risposta saggia, che non poteva però tenere conto del progressivo cambiamento dello spirito pubblico e delle leadership politiche europee.
Agli anni della speranza sarebbero infatti seguiti gli anni della paura: paura della globalizzazione, paura della disoccupazione, paura della Cina. Paure che si potevano vincere solo con un’Europa unita e che invece hanno finito con interrompere il suo cammino verso l’unità e favorire il dilagare del populismo.
Eppure per otto anni l’euro ha funzionato come doveva, riducendo l’inflazione, obbligando i Paesi a una maggiore disciplina di bilancio e, attraverso la diminuzione dei tassi di interesse, rendendo possibile il mantenimento dell’equilibrio finanziario anche nei Paesi pesantemente indebitati, come l’Italia. Le divergenze nelle politiche economiche hanno tuttavia reso quest’equilibrio sempre più precario, fino a che la crisi greca non ha messo a nudo le differenze di efficienza e di produttività che si erano accumulate dopo la costruzione dell’euro.
La crisi greca che, per le sue modeste dimensioni, avrebbe potuto essere l’occasione per costruire quella politica di coesione ritenuta necessaria fin dal momento della fondazione dell’euro, ha segnato invece l’inizio di una turbolenza che non ha ancora avuto termine. La zona euro, che globalmente gode di una situazione della finanza pubblica di gran lunga migliore di quella degli Stati Uniti, è ora vittima di una crisi che, per ironia della sorte, è proprio partita dagli Stati Uniti.
La politica unitaria americana ha trasformato in forza la sua debolezza, mentre le divisioni europee hanno trasformato la forza europea in debolezza. Oggi il nostro dovere è quindi quello di perseguire una politica unitaria anche se non omogenea, perchè ogni governo deve fare la sua parte ma al seguito di una guida generale e concordata. All’Italia spetta il duro compito di porre un freno agli squilibri fra spese ed entrate che, negli ultimi anni, hanno eroso i vantaggi accumulati dalla provvidenziale caduta dei tassi di interesse provocata dall’introduzione dell’euro. E questo lo sta facendo il governo Monti.
Tuttavia i compiti a casa non basteranno mai se non si ritorna alle fondamenta dell’euro, per cui ogni Paese deve fare il suo dovere ma sotto un’autorità europea in grado di stabilire quali siano questi doveri e di farli rispettare sia quando la deviazione avviene in Italia sia quando, come è capitato nella prima fase della vita dell’euro, erano proprio la Germania e la Francia ad allontanarsi dalle regole comuni.
Il direttorio a uno (cioè della sola Germania) non si è dimostrato capace di costruire l’unità indispensabile per difendere tutti noi europei dalla speculazione internazionale. E’ inutile girare attorno al problema. O noi costruiamo gli strumenti comuni ormai noti, e cioè un reale potere della Banca centrale europea e gli eurobond per una comune difesa della moneta, o la crisi continuerà a lungo, perchè contrastata da azioni sempre deboli e ritardate.
Nonostante tutto ciò, penso che l’euro non solo si salverà ma celebrerà molte altre decine di compleanni perchè esso costituisce la forza della Germania e la sicurezza di tutti gli altri Paesi europei. La sua caduta non conviene a nessuno: le conseguenze di una sua dissoluzione sarebbero per tutti catastrofiche. Mentre la Germania perderebbe ogni vantaggio commerciale con una valuta in salita verso le stelle, l’Italia si ritroverebbe di nuovo nel gorgo dell’inflazione e nell’oppressione di insostenibili tassi di interesse.
L’uscita dalla crisi dell’euro sarà quindi lenta e faticosa, perchè deve percorrere una strada piena di paure e pregiudizi, ma non vi è alcuna alternativa. Forse non è questo il modo più gioioso di celebrare un compleanno ma è almeno consolante pensare che i prossimi compleanni sicuramente ci saranno e soprattutto saranno migliori.