L’Europa sostenga la creazione di due Stati sovrani: Israele e Palestina
Medio oriente
Due popoli, due stati. E’ la via della pace
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 25 settembre 2011
Mahmoud Abbas e Binyamin Netanyahu hanno pronunciato il loro atteso discorso di fronte all’assemblea dell’Onu, dando in tal modo inizio al confronto diretto fra l’autorità Palestinese ed il governo Israeliano sul possibile riconoscimento dello Stato Palestinese. Questo problema, irrisolto da oltre sessant’anni, sta infiammando il dibattito politico mondiale da quando Abbas ha deciso di portarlo di fronte al Consiglio di Sicurezza, pur essendo pienamente cosciente che il veto americano renderà in ogni caso impossibile il riconoscimento dello stato Palestinese.
L’esito di quest’ennesimo atto della tragedia mediorientale è quindi scontato e, soprattutto dopo i discorsi dei due leader, le prospettive di pace non sembrano certo essere né imminenti né facili. Ci si deve perciò chiedere perché Abbas, pur consapevole del veto americano, abbia giocato apertamente questa carta.
La prima ragione deriva dall’indubbia popolarità che questa mossa esercita nei confronti della grande maggioranza dell’opinione pubblica mondiale e locale, come è apparso evidente sia nell’aula dell’assemblea dell’ONU che nelle piazze palestinesi. Queste non sono tuttavia novità e non sono quindi eventi tali da spingere l’autorità palestinese ad un gesto così forte di fronte all’immutata politica americana.
Se la politica americana non è cambiata è mutato tuttavia il contesto in cui essa si svolge perché la nuova strategia turca e la “primavera araba” hanno profondamente mutato il teatro in cui questa grande tragedia si svolge. I due più fedeli alleati degli Stati Uniti in tutta l’area, cioè la Turchia e l’Egitto, hanno infatti radicalmente mutato il proprio rapporto con Israele, considerato ora un paese nemico. Gli atti di ostilità sono ben noti e hanno provocato un livello di tensione così forte per cui gli ambasciatori israeliani ad Ankara e al Cairo (oltre a quello ad Amman) hanno dovuto abbandonare le proprie sedi e tornare precipitosamente in patria. La sicurezza di Israele è quindi ora esclusivamente nelle mani del Stati Uniti, che non possono più giovarsi dell’aiuto dei governi amici che erano sempre stati in passato la garanzia di tale sicurezza. La primavera araba ha infatti provocato la conseguenza non secondaria di rendere impossibile per questi due grandi paesi adottare una politica divergente rispetto all’ostilità popolare nei confronti di Israele.
Il nuovo corso turco appare particolarmente importante non solo per le misure di forza che il premier turco ha minacciato ma anche perchè il governo di Ankara si è perfino dichiarato disposto a sostituire con proprie risorse l’eventuale cessazione del flusso di denaro che da molti anni la Casa Bianca versa al popolo palestinese.
Quest’atteggiamento turco è così rischioso per Israele che perfino i vertici dell’esercito israeliano hanno ripetutamente consigliato a Netanyahou di chiedere scusa alla Turchia per gli incidenti accaduti nel mare di fronte a Gaza. Anche perché la Turchia rimane un baluardo fondamentale della Nato ed ha proprio di recente accettato di installare nel suo territorio le batterie di missili che potrebbero anche costituire un’essenziale protezione per Israele in caso di conflitto con l’Iran. Riguardo all’Egitto, in qualsiasi modo si concluda l’attuale crisi politica, nessun futuro governo potrà mettere in secondo piano i sentimenti popolari di profonda ostilità nei confronti di Israele. La politica di Moubarak è in ogni caso irripetibile.
Il dibattito nelle aule dell’Onu non porterà quindi a nessuna novità per l’immediato futuro: esso segna tuttavia una forte accelerazione nel processo di soluzione del conflitto palestinese.
Di fronte alle ventisette ovazioni che il Congresso americano ha tributato recentemente a Netanyahou e nella prospettiva di una difficile sfida elettorale, la politica americana non cambierà certamente, così come la forza delle frange radicali nella coalizione di governo renderà impossibile a Netanyahou applicare quell’intelligente flessibilità che era propria del suo predecessore. Ehud Olmert aveva infatti sempre riconosciuto la necessità di arrivare sia alla costruzione di uno stato Palestinese con un territorio equivalente a quello del 1967 che alla definitiva partizione di Gerusalemme, in modo che divenga capitale sia dello stato di Israele che di quello palestinese, ma con uno statuto speciale per i luoghi santi, mantenuti fuori dalla sovranità di entrambi.
In questo nuovo quadro politico si apre certamente uno spazio maggiore per l’Europa. Essa non può che operare per la creazione di due stati autonomi, sovrani e garantiti nella loro reciproca sicurezza da forti accordi internazionali. Due stati nei quali i due popoli possano vivere senza l’oppressione degli insediamenti e senza la paura del terrorismo. In questa situazione sono convinto che l’Europa debba aiutare l’amico americano proprio appoggiando la richiesta palestinese, pur sapendo che essa non darà per ora alcun frutto. L’accoglimento di questa richiesta servirà tuttavia per facilitare l’accordo indispensabile per la giustizia e la pace nel mondo.