L’Italia riprenda il suo ruolo nel mediterraneo e contribuisca alla ricostruzione democratica
L’Egitto e il nostro ruolo
L’Italia che deve parlare agli arabi
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 febbraio 2012
Abbiamo seguito con attenzione quotidiana le vicende egiziane quando era in corso il processo rivoluzionario e ci siamo stancati di farlo proprio quando è in gioco il futuro del paese. Le paure di uno scontro sanguinoso, che noi stessi avevamo più volte paventato, non si sono fortunatamente avverate ma i nodi del paese restano irrisolti. Dal lato positivo va sottolineato come gli scontri violenti, che in una certa fase della rivoluzione sembravano travolgere tutto, sembrino ora più limitati, mentre il processo democratico-elettorale continua il suo lungo cammino. Decine di milioni di persone hanno fatto pazientemente la fila ai seggi per eleggere l’assemblea generale e tutti gli osservatori sono concordi nel dire che, salvo un numero limitato di incidenti, si è trattato di una contesa sostanzialmente regolare.
I risultati sono stati sotto alcuni aspetti scontati e, sotto altri, sorprendenti. La vittoria dei Fratelli Mussulmani era scontata in quanto questa era l’unica forza politica che da decenni era attiva in tutto l’Egitto, esercitando un’attività di assistenza e di protezione sociale sia nelle aree urbane che nei più sperduti villaggi. La loro vittoria, in un paese nel quale non operavano partiti politici organizzati, era in un certo senso scontata anche perché si erano progressivamente allontanati dal loro iniziale estremismo. Nessuno pensava però che avrebbero superato il 45% dei voti e, soprattutto, nessuno immaginava che il movimento islamico più radicale (cioè i Salafiti) arrivasse vicino al 30%.
Tre quarti degli elettori hanno quindi dato fiducia ai partiti religiosi mentre il maggiore partito laico, che alcuni pensavano si sarebbe potuto avvicinare al risultato dei Fratelli Musulmani, si è invece fermato intorno all’8%.
Naturalmente non si può analizzare la situazione egiziana senza tenere conto del ruolo dell’esercito, da sempre fonte e custode del potere politico e attore dominante della vita economica del paese. L’esercito è ancora forte ma, più il lungo processo elettorale va avanti, più esso perde il ruolo di ago della bilancia.
In queste circostanze il cammino meno rischioso per l’evoluzione democratica dell’Egitto consiste in una ricerca di un accordo politico fra l’esercito e i Fratelli Musulmani. Un accordo che, nel prossimo futuro, dovrebbe soprattutto concretizzarsi nella ricerca di un presidente di garanzia che accompagni, con la sua personale autorità, l’evoluzione democratica egiziana. Non è un accordo semplice perché non si tratta solo di convergere su un nome ma di trovare un difficile compromesso sulla costituzione, che i Fratelli Musulmani vogliono di tipo parlamentare e che la parte militare preferisce invece incentrata sulla forza del presidente.
A rendere difficile l’accordo gioca anche la situazione economica. In conseguenza del forzato ritorno di centinaia di migliaia di emigranti e del crollo del turismo, la disoccupazione continua a crescere colpendo soprattutto le classi giovanili che avevano sostenuto il processo rivoluzionario. I capitali fuggono all’estero mentre gli investimenti stranieri, che avevano sostenuto lo sviluppo degli ultimi anni, sono ridotti a zero. Gli scioperi si succedono senza una strategia ben definita mentre la criminalità aumenta ogni giorno tanto nelle zone urbane quanto nei più sperduti villaggi. Inoltre le minoranze, a partire da quelle cristiane, sono vittime di crescenti soprusi e non si sentono più garantite. Dato che il processo elettorale non terminerà prima dell’arrivo dell’estate, molti si chiedono se esso potrà procedere senza irreparabili tragedie per tanti mesi.
In questo quadro si è inserito un pericoloso scontro fra tutti i gruppi politici egiziani e il governo americano, accusato di interferire, attraverso alcune organizzazioni non governative (ONG), nella politica interna del paese. Una controversia così acuta che molti esponenti di tutti i partiti politici arrivano al punto di dichiarare che si è di fronte a un disegno mirato a mettere in ginocchio l’Egitto mentre, da parte americana, si adombra la possibilità di ritirare l’ambasciatore e di bloccare gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale.
E’ evidente che in questo passaggio così delicato l’Egitto ha bisogno di ricostruire un rapporto normale con gli Stati Uniti e, ancora più, di sentire la vicinanza dell’Europa.
L’Italia, nonostante le sue fragilità, può dare un contributo decisivo al raggiungimento di questi obiettivi. Per l’Egitto noi siamo infatti un punto di riferimento profondamente radicato sia a livello popolare che nelle forze politiche. La visita del ministro degli Esteri è stata accolta come un momento di grande significato dalle autorità politiche, religiose e militari. Anche i Fratelli Musulmani si sono rivolti agli italiani come “popolo fratello dell’occidente.”
E’ nostro interesse, ed è nello stesso tempo un contributo insostituibile alla ricostruzione democratica dell’Egitto, che l’Italia riprenda verso il mondo arabo il ruolo che abbiamo perduto negli ultimi anni.
In questo momenti così difficili è bene ricordare che una politica alta nel Mediterraneo contribuirà a difendere le nostre buone ragioni anche a livello europeo.