Ma davvero pensiamo che se ne può uscire da soli ?
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 08 Novembre 2009
La crisi economica ha provocato tensioni senza precedenti fra banca e impresa. Non si tratta solo dei ben noti problemi della disponibilità di credito nei confronti delle aziende ma di un disagio più profondo, un disagio che deriva dai cambiamenti avvenuti nel sistema creditizio nazionale ed internazionale ben prima della crisi economica, anche se messi a conoscenza di tutti dalla crisi stessa.
Le banche hanno cambiato natura. Sono diventate più grandi, guardano sempre più al mondo e sempre meno al territorio. Sono molto più attente a vendere prodotti che a sviluppare imprese
Non è una caratteristica particolare delle banche italiane ma un processo di carattere mondiale. Anche le nostre banche, se volevano sopravvivere alla concorrenza internazionale, dovevano diventare più grandi, dovevano espandersi al di fuori dei confini nazionali e dovevano diventare sempre più universali, offrendo tutti i servizi a tutti.
Tuttavia, mentre altri sistemi economici sviluppavano strutture finanziarie e creditizie specializzate a servizio delle imprese, in Italia le banche sono e rimangono le uniche organizzazioni dedicate a provvedere alle necessità finanziarie delle imprese. Lo fanno tuttavia con una grande fatica sia perché, in troppi casi, non conoscendo più i problemi del territorio, giudicano la situazione delle imprese secondo parametri generali, validi per tutti ed inflessibili. Il direttore della filiale visita sempre meno le imprese. Ne conosce sempre meno i problemi perchè le decisioni sul credito vengono sempre più affidate al misterioso ufficio fidi della sede centrale, il quale decide fondandosi in prevalenza su parametri fissi e uguali per tutti.
Basilea1, Basilea2 (che stanno a indicare il luogo dove sono state prese le decisioni delle regole a cui debbono attenersi le banche) sono parole che terrorizzano ogni piccolo o medio imprenditore italiano bisognoso di credito aggiuntivo per fare fronte al prolungarsi della crisi.
Le banche, a loro volta, data l’ampiezza della crisi e il crescente numero delle aziende in difficoltà, concentrano le proprie risorse finanziarie nel prolungare la durata dei crediti esistenti e a questo punto si fermano. L’imprenditore rimane solo di fronte al proprio futuro proprio nel momento in cui più avrebbe bisogno di ricevere aiuti e consigli. La paura sta entrando nella casa di molti imprenditori, anche di coloro che solo due anni fa si ritenevano immortali e infallibili. Essi sono perciò disposti ad accettare decisioni e cambiamenti che non avrebbero mai accettato in precedenza. Imprenditori che avevano sempre rifiutato di fondersi o di cooperare con altre imprese per raggiungere le dimensioni necessarie per competere e innovare, ora sono disposti ad accettare i cambiamenti più radicali pur di assicurare un futuro alla propria azienda. E proprio in questo momento di debolezza ma anche di forzata ragionevolezza essi si trovano soli. I più vecchi di loro ricordano con rimpianto l’esistenza degli istituti di credito speciale che, come l’Imi o il Mediocredito, consigliavano ed aiutavano le aziende proprio nei momenti nei quali esse dovevano prendere decisioni “speciali.”
Per questo motivo mi sono chiesto più volte se non fosse opportuno ricreare oggi strutture finanziarie specializzate simili a quelle del passato per provvedere, in forme più aggiornate e moderne, alla grande ed indifferibile necessità di adattare il sistema produttivo italiano alle esigenze future. Riflettendo più a fondo su questo problema non ho potuto nascondermi i rischi e le difficoltà di fare nascere dal nulla banche specializzate per segmentazioni di attività.
Anche perché esse non sarebbero immuni dal rischio di trasformarsi in carrozzoni pubblici che poi si sostituirebbero alla responsabilità degli imprenditori.
Se si vogliono evitare questi esiti occorre però che le banche affrontino questi problemi con una visione di lungo periodo, organizzando strutture specializzate per mobilitare al servizio della ristrutturazione delle imprese e della loro aggregazione le risorse e le competenze necessarie.
È certo che se si vuole evitare di creare nuove istituzioni finanziarie col fondato rischio di dare vita a pericolosi carrozzoni, bisogna che le banche recuperino una relazione continua, approfondita ed autorevole con le imprese.
Altrimenti bisognerà davvero ripensare ad un ritorno al passato.
Quello che mi è impossibile accettare è che si stia attraversando la più grave crisi produttiva del dopoguerra senza adottare alcuna nuova politica industriale e creditizia. Pensiamo infatti davvero che in questa crisi gli imprenditori se la possano cavare da soli e che il sistema produttivo italiano si adatti in modo naturale ai cambiamenti presenti e futuri?
E’ proprio vero che a non fare nulla non si sbaglia mai? Io non lo credo e penso che qualche rimedio vada preso. Finchè siamo ancora in tempo.