Non è ancora l’alta marea che ci solleverà dalla crisi
Facili ottimismi e giuste cautele
Non è ancora l’alta marea che ci solleverà dalla crisi
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 Agosto 2010
Il periodo delle ferie è per tradizione il momento in cui riflettere e fare previsioni sull’andamento dell’economia dopo la normale ripresa dell’attività lavorativa. Quest’anno l’esercizio è particolarmente difficile.
Nelle settimane scorse siamo stati infatti bombardati da messaggi contraddittori, spesso usati in modo strumentale ma anche in modo comprensibilmente consolatorio, data la collaudata convinzione che l’ottimismo sia più costruttivo del pessimismo.
Alla fine della storia, dopo tre anni di crisi, la definizione più appropriata dello stato dell’economia mondiale rimane la frase di Ben Bernanke, presidente della Riserva Federale che, dopo avere spulciato tutti i modelli econometrici disponibili, ha solennemente affermato che l’attuale momento economico è “insolitamente incerto”. Quest’affermazione ha ulteriormente depresso i mercati borsistici ma, a dispetto di tutti gli annunci strumentali, è quella che più si avvicina alla realtà.
Negli Stati Uniti si stanno faticosamente aggiustando i bilanci familiari devastati da decenni di eccessivi consumi (il risparmio è passato dall’1,4% di due anni fa al 6,4% di oggi) ma questo lento aggiustamento rende ancora più difficile il risanamento del bilancio pubblico, mentre produzione e occupazione deludono sempre di più le aspettative.
In Europa ci siamo fatti pervadere da un’ondata di ottimismo per effetto del buon andamento delle esportazioni, aiutate in modo determinante dall’indebolimento dell’Euro nei confronti del dollaro.
La Germania, Paese esportatore per eccellenza, ha approfittato più di ogni altro di questa favorevole circostanza e, proprio nelle scorse ore, ha sottolineato come il positivo andamento del secondo trimestre, abbia trascinato verso l’alto tutti i dati di Eurolandia. Tuttavia Francia e Gran Bretagna, frenate dalla necessità di mettere in ordine il proprio bilancio, non solo faticano ma hanno dovuto correggere al ribasso le proprie previsioni. Lo stesso Trichet ha prima lanciato un messaggio di ottimismo sull’economia europea e poi lo ha corretto abbassando le previsioni di sviluppo, sia perché non vi è più sicurezza che i deboli mercati mondiali possano assorbire in misura crescente le nostre esportazioni, sia perché l’incertezza domina il mercato delle monete, ma soprattutto perché il processo di aggiustamento dei bilanci degli Stati e delle famiglie è lungo e politicamente doloroso.
Eppure senza questi aggiustamenti non si può uscire in modo stabile da una crisi economica pesante come quella in cui siamo ancora immersi. Rallegriamoci perciò per gli ultimi dati tedeschi ma consideriamoli alla luce di un quadro del tutto eccezionale, nel quale il ruolo delle esportazioni ha svolto un ruolo difficilmente ripetibile nel prossimo futuro.
D’altra parte la passata esperienza ci dice che l’uscita dalle crisi finanziarie dei diversi Paesi ha richiesto un periodo di aggiustamento medio intorno ai sei anni. In mancanza di un accordo generale non si può certo pensare di essere molto più veloci nel mettere a posto le cose dopo una crisi che ha coinvolto non un solo paese ma l’intera economia mondiale.
La stessa prudenza deve essere esercitata nei confronti dei dati italiani, certamente positivi riguardo alle esportazioni, ma ancora ben lontani dal segnalare un recupero dell’intera economia, data la permanente crisi della domanda interna e il miserevole andamento degli investimenti.
Dai conti dell’indagine Mediobanca emerge che l’industria ha recuperato solo un terzo della caduta del 2009. Il fatturato è quindi molto inferiore a quello del 2008, mentre la produttività è calata dell’8,8%, con un comportamento molto preoccupante anche tenuto conto del fatto che sempre l’indebolimento della domanda comporta una diminuzione della produttività. La stessa crescita del reddito nel secondo trimestre (pari allo 0,4%) non è certo sufficiente per segnalare un definitivo cambiamento della congiuntura economica.
Le previsioni per il dopo estate debbono essere quindi molto caute: avremo ancora qualche settimana di ottimismo ma poi ci renderemo conto di come l’uscita dalla crisi sarà condizionata da un quadro internazionale pieno di incertezze e dalla situazione del bilancio pubblico, che ha ancora bisogno di radicali aggiustamenti.
Non possiamo cioè illuderci che la nostra economia possa essere semplicemente sollevata dall’alta marea dell’economia internazionale perché la marea, dopo essere scesa di qualche metro, sta risalendo solo di pochi centimetri. E soprattutto perché, per correre nel nuovo mare, occorrono imbarcazioni ben più robuste e innovative di quelle di cui oggi disponiamo.