Perchè gli speculatori attaccano l’Europa ma non gli USA
Il rischio debito
L’EUROPA GLI USA E LE CRISI PARALLELE
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 24 Luglio 2011
La grande paura per una possibile dissoluzione dell’euro è passata. il compromesso è stato raggiunto e tutti sembrano essere felici e contenti. Come al solito l’Unione Europea discute e discute, i problemi si aggravano e si ingigantiscono ma poi, arrivati sull’orlo del precipizio, l’accordo viene raggiunto e la vita ricomincia. Ormai siamo abituati a questa crescita dell’Europa attraverso le crisi e perciò accogliamo con un sospiro di sollievo il compromesso. Il sollievo deriva dal fatto che abbiamo evitato il baratro. Fino a lunedì scorso la speculazione impazzava, i mercati finanziari ballavano e i tassi di interesse del nostro debito pubblico salivano al cielo. Prima le indiscrezioni e poi le notizie degli accordi di Bruxelles hanno calmato le inquietudini della Borsa e hanno diminuito la differenza dei tassi di interesse fra i buoni del tesoro italiani e quelli tedeschi, riportandoli al livello che precedeva la grande tempesta.
Il compromesso raggiunto può ritenersi soddisfacente perchè rafforza e rende più flessibile il così detto Fondo salva Stati (cioè l’Efsf, European financial stability facility) sostenendo i Paesi in difficoltà, allungando la durata dei prestiti concessi e abbassandone il costo. All’Efsf, è concessa inoltre la possibilità di partecipare alla ricapitalizzazione delle banche e, in presenza di circostanze eccezionali, il fondo può acquistare titoli di stato di qualsiasi Paese. Si tratta di un bel passo in avanti, quasi l’inizio di una più incisiva politica economica europea, anche se le pur cospicue dimensioni del fondo (440 miliardi di euro) non sarebbero sufficienti per una prolungata crisi di grandi Paesi come la Spagna o l’Italia. Tuttavia, date le divergenze esistenti fra i diversi Paesi europei, non ci potevamo aspettare nella di meglio.
Per questo motivo i mercati finanziari hanno accolto con favore le decisioni prese a Bruxelles, nonostante l’inopportuno e immotivato intervento di una delle solite agenzie di rating. Certo il prezzo pagato per oltre un anno di discussioni fra Francia e Germania e fra i governi e la Banca centrale europea è altissimo. Se questo compromesso fosse stato raggiunto a tempo debito, cioè un anno fa, sarebbe costato meno della metà e avrebbe risparmiato le tensioni e i rischi che tanto ci hanno danneggiato negli scorsi mesi.
Non dobbiamo nemmeno illuderci che le tempeste monetarie non possano ritornare in futuro. Ci siamo infatti messi in sicurezza riguardo alle tensioni in corso ma non è stato certo creato un meccanismo capace di assorbire gli shocks economici e di preparare gli interventi necessari per aggiustare gli squilibri e mediare le tensioni che fatalmente insorgeranno fra i diversi Paesi membri. A differenza dell’Europa gli Stati Uniti posseggono questi necessari strumenti di intervento.
Ed è proprio il possesso di questi strumenti che rende del tutto non plausibile l’ipotesi di una bancarotta americana, nonostante un deficit molto superiore rispetto a quello dell’area euro e il permanere delle liti fra repubblicani e democratici. Eppure mancano ormai pochi giorni al 2 agosto, giorno nel quale, in mancanza di accordo, si dovrebbero sospendere le spese del governo federale, segnalando con questo lo stato di una vera e propria bancarotta. Il compromesso non è facile perchè i repubblicani e i democratici hanno ricette del tutto opposte per riportare in ordine i conti del Paese. I primi puntano tutto sulla diminuzione delle spese. I secondi vogliono accompagnare il controllo della spesa con un aumento delle imposte per le categorie di reddito più elevate e, soprattutto, si oppongono ai tagli delle spese sociali, partendo dalla protezione sanitaria per i poveri (medicaid) e per gli anziani (medicare). L’accordo è reso ancora più difficile dalla circostanza che le elezioni presidenziali si stanno avvicinando e che il grande potere di coloro che vorrebbero addirittura una diminuzione del peso fiscale (il così detto movimento del Tea Party) indebolisce la posizione di quanti, nel Partito repubblicano, sono disposti ad una mediazione per arrivare ad un pacchetto comprensivo di aumenti fiscali e diminuzione di spese. Di fronte a questo estenuante braccio di ferro ci si va orientando verso misure minori e insufficienti a correggere un deficit ormai astronomico. Nel contempo si dovrà perciò innalzare il tetto del debito pubblico, in modo da potere continuare a spendere anche oltre il 2 agosto.
Negli Stati Uniti come in Europa si pratica quindi la tecnica del rinvio fino all’esasperazione, con la differenza che in America nessuno speculatore attacca i buoni del tesoro e le società di rating si limitano a generici richiami, che servono da ammonimento ai politici ma che non muovono di un centimetro i mercati finanziari. La lentezza del processo decisionale è quiindi il rischio maggiore sia per la navigazione della democrazia europea che di quella americana. La differenza sta nel fatto che la forza del sistema politico americano permette una navigazione tranquilla, mentre il cammino europeo continua a procedere in mezzo alle tempeste.