Un accordo forte fra tutti i Paesi europei per uscire dalla crisi
Quel vuoto politico che nutre la crisi
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 05 Giugno 2010
Come non ho mai creduto nella catastrofe, così non ho mai creduto che l’uscita dalla crisi fosse rapida e indolore. Stiamo ancora camminando nel fondo del catino. Essendo sul fondo non penso peggioreremo la nostra situazione, ma avremo da camminare ancora molto prima di uscire dall’acqua.
Questo non per una fatale necessità ma perché la mancanza di accordo tra le politiche dei vari Paesi europei ha reso la ripresa più difficile e lontana.
Fino allo scoppio della crisi finanziaria greca lo scenario era quello di una lentissima crescita (appunto il fondo del catino), ma senza l’adozione di politiche di bilancio eccessivamente restrittive. Arrivata la crisi finanziaria greca, grave per le colpe che l’hanno causata ma modesta per dimensione e quindi facilmente risolvibile, è mancato un rapido accordo sulle decisioni da prendere. Soprattutto è mancato il coordinamento della politica fiscale fra i diversi Paesi europei.
Ognuno si è presentato diviso e la speculazione ha cominciato a infilare ad una ad una le nazioni più deboli, con la vecchia strategia degli Orazi e Curiazi a noi ben nota fin dalla scuola elementare. Come sempre succede quando ognuno pensa solo per se stesso si è assistito a veri e propri scontri verbali fra i politici dei diversi Paesi, creando in tutti i media mondiali che l’Europa fosse fatalmente divisa fra Sud e Nord, fra Paesi virtuosi e Paesi viziosi, fra cicale e formiche, con quale messaggio di solidarietà ognuno può facilmente immaginare.
A questo punto, dovendosi difendere da soli, tutti hanno dovuto adottare misure finanziarie severe e politiche di bilancio più restrittive, mentre diveniva chiaro che la politica monetaria avrebbe dovuto mantenere a lungo bassi tassi di interesse.
Le restrizioni di bilancio sono state dappertutto più rapide e severe del previsto, dato che nessuno poteva permettersi di essere il più debole di fronte agli attacchi della speculazione. Con le sue necessarie frenate ogni Paese ha finito col danneggiare la ripresa degli altri. Per spiegarlo in parole più semplici, il settore pubblico ha trasformato la necessità di aggiustamento del proprio bilancio in un minore potere d’acquisto dei suoi cittadini. I quali, costretti a diminuire il proprio potere d’acquisto, hanno reso la crisi ancora più grave. In questo stato di incertezza la speculazione impazza, come è accaduto nei mercati borsistici della settimana che è terminata ieri e che ha visto colpire azioni e obbligazioni con una forza raramente vista in passato, in un susseguirsi senza fine di incontrollate voci e indiscrezioni, ma senza che alcun elemento concretamente verificabile rendesse giustificabile questo panico.
L’unico aspetto positivo di questo stato confusionale è che, nella previsione di un prolungamento della crisi e nell’ipotesi del mantenimento per il prevedibile futuro di bassi tassi di interesse, l’Euro ha perso sempre più valore fino ad arrivare ieri intorno a 1,20 rispetto al dollaro, cedendo in poche settimane oltre il 15% nei confronti della moneta americana.
Un ritorno dell’Euro verso livelli di cambio meno sfavorevoli aiuterà certamente le nostre esportazioni nei confronti del resto del mondo ma questo vantaggio si trasferisce all’economia solo lentamente, mentre la politica di restrizione fiscale agisce in tempi rapidissimi, anche in conseguenza dell’incertezza che rende tutti più esitanti e paurosi riguardo ad ogni decisione di acquisto o di investimento.
Eppure, anche in questi concitati momenti, è apparso chiaramente che l’esistenza dell’Euro giova a tutti, a cominciare dalla Germania che, solo negli ultimi dodici mesi, ha visto un attivo della propria bilancia commerciale di 207 miliardi, di cui oltre la metà nei confronti degli altri Paesi dell’Euro. Ed i governanti tedeschi sanno benissimo che, in mancanza della moneta comune, le svalutazioni competitive, oltre che portare un definitivo caos nella vita economica di tutti i Paesi europei, farebbero sparire in un attimo il surplus tedesco. Ed i banchieri francesi e tedeschi sanno altrettanto bene quale sarebbe la fine delle obbligazioni greche o di altri Paesi attaccati dalla speculazione che essi posseggono copiosamente nei loro portafogli.
Ed infine è ben noto a tutti che, se vi fosse una forte volontà di cooperazione, i fondi mobilitati dai sedici Paesi dell’Euro per una politica di reciproco soccorso sono più che sufficienti per bloccare ogni speculazione, come sono stati sufficienti negli Stati Uniti di fronte a squilibri finanziari ben più preoccupanti.
Quello di cui abbiamo bisogno è solo un accordo forte e senza riserve fra i Paesi europei, un accordo che deve essere guidato e condotto in porto dalla Germania e dalla Francia.
Ci attendiamo quindi che i governanti dei maggiori Paesi europei si assumano la responsabilità di prendere immediatamente le decisioni che possono mettere fine alla speculazione e all’incertezza dei mercati. Il vuoto della politica sta pericolosamente allungando la crisi economica: è tempo che questo vuoto venga colmato.