Tre ricette per rilanciare l’occupazione
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 09 gennaio 2011
E’ ormai tradizione che nella prima settimana dell’anno si moltiplichino le statistiche e i rapporti sull’andamento dell’economia, con analisi e punti di vista spesso tra di loro divergenti. Anche quest’anno siamo sommersi da cifre e grafici che però, a differenza di quanto avveniva negli anni scorsi, offrono un quadro ampiamente condiviso dell’andamento dell’economia dei paesi ad elevato livello di sviluppo.
Un quadro che purtroppo si riassume in un messaggio assai semplice: la ripresa può essere più o meno iniziata ma, ovunque, si tratta di una ripresa senza aumento di occupazione e, in ogni caso, segnata da una forte crescita della disoccupazione giovanile. Andando ancora più a fondo nell’analisi, si scopre che i milioni di posti di lavoro perduti nell’industria manifatturiera non vengono più rimpiazzati da nuove assunzioni nel settore terziario, come era nelle speranze. Negli Stati Uniti, dove la ripresa è stata più accentuata che in Europa, sono stati creati nello scorso anno solo 89mila nuovi posti di lavoro nell’industria manifatturiera di fronte ai 2 milioni perduti dall’inizio della crisi mentre i servizi, a cominciare dai servizi finanziari, non hanno più la capacità di creare nuova occupazione. Tanto in America quanto in Europa la disoccupazione rimane perciò ferma attorno al 10%, mentre doppia è la media dei senza lavoro tra i giovani.
Fatta eccezione per la Germania, il divario fra giovani e anziani non risparmia alcun paese. La disoccupazione giovanile si aggira attorno al 20% anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove pure la flessibilità del mercato del lavoro è massima.
In Italia la Cassa Integrazione, conservando il posto di lavoro a chi già lo detiene, ha contribuito a limitare il livello assoluto di disoccupazione ma, come ovvia conseguenza, ha reso molto più difficile l’ingresso delle nuove generazioni nel mercato del lavoro. Anche perché il nuovo terziario ( ricerca, innovazione, finanza, consulenza, turismo moderno ecc.ecc.) è nel nostro paese in situazione molto più critica di quanto non sia l’industria manifatturiera e le restrizioni di bilancio della Pubblica Amministrazione rendono impossibile, al di fuori di sciagurate politiche clientelari, la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore pubblico. L’occupazione è e sarà a lungo la nostra emergenza.
In Europa solo la Germania ha cominciato a uscire dalla trappola. Non lo hanno fatto la Francia e la Gran Bretagna perché, in percentuale, hanno meno della metà degli addetti all’industria (anzi poco più di un terzo) rispetto alla Germania e ancora meno lo ha fatto la Spagna perché troppo si è dedicata all’edilizia e ai servizi tradizionali.
Più complesso è spiegare perché non lo riesca a fare l’Italia. Riguardo al Mezzogiorno la spiegazione è purtroppo semplice e si riassume nella mancanza di una moderna struttura economica. In riferimento al centro- nord, dove l’industria manifatturiera ha quasi lo stesso straordinario peso che in Germania, è mancata la capacità di espansione verso i nuovi mercati, che costituiscono la base della crescita tedesca di oggi. In questa direzione si possono e si debbono prendere ben precise decisioni.
- Un primo campo riguarda la politica nei confronti delle imprese. Allo scopo di favorire le fusioni e le concentrazioni delle aziende, di aiutare le stesse imprese a costruire strutture di esportazione e di presenza all’estero e, soprattutto, allo scopo di incentivare le iniziative dedicate alla ricerca e all’innovazione, siano esse individuali, consortili o in collaborazione con le Università.
- Un secondo campo riguarda le strutture pubbliche ausiliarie all’economia. Tralasciando i ben noti problemi di funzionamento della burocrazia, mi limito a sottolineare come la prima fase di conquista dei nuovi mercati sia sempre accompagnata dall’aiuto della presenza pubblica. In questo campo siamo ormai al lumicino. Per fare un esempio concreto, la presenza pubblica italiana in Cina può contare su un numero di persone che si misura in decine o pochissime centinaia mentre la penetrazione economica tedesca può contare su molte migliaia di addetti.
- Il terzo campo tocca infine i problemi della nostra organizzazione del lavoro che, nel bene e nel male, debbono essere simili a quelli degli altri paesi europei.
Queste semplici decisioni non sono certo in grado di risolvere da sole i drammatici problemi dell’ occupazione ma sono in grado di alleviarli, portando la crescita nostra almeno al livello della media europea.
E’chiaro che queste decisioni non cadono dal cielo ma hanno bisogno di una politica industriale di cui fino ad oggi non si vede traccia. Se qualcuno pensa che il rinnovamento dell’industria tedesca sia avvenuto senza una lunga e profonda azione del governo federale si sbaglia. Quindi è ora di muoversi e preparare finalmente una politica industriale. Anche imperfetta sarà sempre meglio di niente.