Una nuova politica industriale per riportare le imprese italiane ad essere protagoniste nel mondo
Vincoli e competizione
E’ tempo di aiutare le imprese a crescere
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del11 marzo 2012
Si è detto per tanti anni che “piccolo è bello”. Lo si è detto con ragione perché le piccole imprese hanno costruito, in tutto il centro-nord, un fermento di nuove iniziative, hanno diffuso la cultura industriale e hanno creato un’ imprenditorialità che ha reso possibile moltiplicare reddito e occupazione.
Tuttavia, da oltre dieci anni, questa meravigliosa macchina sta perdendo colpi. Di fronte alla nuova concorrenza e alla globalizzazione, le sue virtù, fondate su una formidabile capacità di assorbire le innovazioni attraverso la reciproca imitazione tra le imprese, non reggono più.
Questo processo imitativo è stato infatti scoperto anche da altri paesi con costi del lavoro infinitamente inferiori ai nostri.
Piccolo è ancora bello ma, invece di produrre occupazione aggiuntiva, la diminuisce di anno in anno. Non è un fenomeno solo dell’Italia ma, come si legge in un recente numero dell’Economist, di tutti i paesi europei.
Da una serie di ricerche risulta infatti che la produttività delle imprese al di sotto dei venti addetti è addirittura la metà di quella delle imprese con oltre duecentocinquanta dipendenti.
Una notevole parte della superiorità tedesca deriva proprio dal fatto che le imprese germaniche sono mediamente più grandi di quelle italiane e hanno, solo per questo motivo, un’efficienza produttiva del 30-40% superiore alle nostre.
Piccolo è quindi bello solo per le aziende che crescono e per le nuove imprese che, fondandosi sulla ricerca e l’innovazione, hanno concrete probabilità di imporsi nella concorrenza mondiale.
L’aumento delle dimensioni è ancora più necessario in Italia dove abbiamo perduto quasi tutte le grandi aziende e dove quindi, per costruire il nostro futuro, dobbiamo fondarci soprattutto sulle due o tre mila imprese che hanno la possibilità di concorrere con qualche speranza di successo nei mercati mondiali.
Dobbiamo cioè fare crescere le nostre “multinazionali tascabili” che, operando in settori specializzati e di nicchia, riescono a competere perché sono sufficientemente grandi per innovare e per operare nel mercato globale.
Tutto ciò si riferisce non solo al settore manifatturiero ma vale anche per le imprese di costruzione, per gli alberghi e per la gran parte dei servizi.
Una nuova politica industriale a favore della crescita deve perciò avere due obiettivi ben precisi.
- Il primo è quello di incentivare la nascita di imprese innovative, anche se, ovviamente, non tutte sopravviveranno al processo di selezione.
- Il secondo obiettivo, quantitativamente più importante, è quello di rimuovere gli ostacoli che si frappongono all’aumento delle dimensioni aziendali a causa della diversità delle regole esistenti fra imprese grandi e piccole nel campo fiscale, del diritto del lavoro e nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.
Queste disparità hanno contribuito, non solo in Italia ma anche in Francia, alla moltiplicazione e non alla crescita delle aziende. Al fine di evitare trattamenti meno favorevoli, i piccoli imprenditori scelgono infatti di mantenere piccole le proprie creature, con il risultato di rendere meno efficiente il sistema e di danneggiare l’occupazione. Bisogna perciò cambiare tante vecchie abitudini e modificare anche disparità nel diritto del lavoro profondamente radicate nella nostra cultura. E rovesciare anche le regole per cui il lavoro precario costa meno di quello a tempo indeterminato, impedendo così la specializzazione professionale e quindi la produttività dei dipendenti.
Questi cambiamenti sono necessari per fare di nuovo correre un sistema produttivo che negli ultimi anni, nonostante salari miserevoli e un costo orario del lavoro (compresi gli oneri sociali diretti e indiretti) nettamente più basso di quello dei nostri maggiori concorrenti europei, ha lentamente ma continuamente perso quota nei mercati mondiali.
Dovrà essere quindi cura del governo promuovere i cambiamenti necessari per mettere l’innovazione e la crescita al centro di una nuova strategia industriale.
Non è certo facile raggiungere questo risultato in un paese in cui le imprese sono di natura quasi esclusivamente famigliare. Anche in questo caso può essere molto utile il confronto con la Germania, dove la proprietà famigliare si concilia più facilmente con la crescita attraverso fondazioni o altre istituzioni che spingono queste imprese verso una gestione professionale aperta all’esterno e verso criteri di comportamento che, pur tenendo conto degli interessi famigliari e dei problemi successori, mettono al primo posto l’ interesse dell’azienda.
Non dobbiamo infatti mai dimenticare che le imprese sono un bene privato ma sono anche un bene di interesse pubblico e sono, di conseguenza, chiamate a creare occupazione e ricchezza a servizio della comunità.
Dopo decenni di una forse necessaria politica di moltiplicazione delle imprese dobbiamo quindi preparare gli strumenti in grado di farle crescere fino ad essere abbastanza forti per giocare un ruolo di protagoniste nel mondo. Questi sono i semplici principi di una nuova politica industriale.