La crisi della democrazia porta al potere leader sempre più improbabili
La crisi del sistema: troppo potere ai leader nel declino dei partiti
Articolo di Romano prodi su Il Messaggero del 12 marzo 2017
Per qualche decennio abbiamo vissuto nella convinzione che il progresso della democrazia fosse inarrestabile. Nei paesi che già adottavano un sistema democratico si pensava che i diritti e i poteri del cittadino fossero destinati a crescere, insieme alla crescita di un sempre più stretto legame fra i cittadini stessi e i loro governi. Quando poi riflettevamo sui paesi a regime autoritario o dittatoriale pensavamo che, in un tempo non infinito, si sarebbero anche loro incamminati verso un regime democratico, con una progressiva estensione dei processi elettorali.
Osservando quanto sta accadendo oggi questa sembra essere più la descrizione del secolo scorso che di questo in cui viviamo: la politica mondiale si orienta quasi ovunque verso un aumento e non una diminuzione della concentrazione del potere. E sempre più spesso con un crescente consenso e sostegno popolare. Vediamo come stanno le cose in giro per il mondo.
In Cina tutti gli osservatori concordano sul fatto che il Presidente Xi Jinping ha accentrato in sé una somma di poteri superiore a quella che nessuno dei suoi predecessori aveva accumulato negli ultimi trent’anni. Un’evoluzione simile si è verificata in Russia dopo la fine dell’Unione Sovietica. Parallelo è il cammino della politica turca, mentre la concentrazione del potere si fa strada anche in India e in molti altri paesi asiatici. Lo stesso avviene nel continente africano, indipendentemente dall’esistenza di formali consultazioni elettorali.
Molti di noi hanno seguito con interesse e approvazione le statistiche dell’ONU che plaudivano all’aumento del numero di paesi africani che finalmente avevano adottato un sistema di competizione elettorale, salvo poi accorgerci che le elezioni sono sempre più spesso servite per autorizzare il vincitore (o presunto tale) ad esercitare un potere personale assoluto sull’intero paese. Tanto è vero che i conflitti politici più frequenti nel continente africano riguardano capi di stato formalmente eletti che non vogliono scendere dal trono dopo la fine del mandato previsto dalla Costituzione.
Negli Stati Uniti e in Europa le cose stanno diversamente ma il cammino procede nella stessa direzione, cioè verso l’accentuazione della delega del potere ad una singola persona e quindi verso una crescita della prospettiva autoritaria. L’elezione di Trump è il caso più significativo ma evoluzioni ancora più spinte avvengono in molti paesi europei, cominciando dalla Polonia e dall’Ungheria dove il processo di attenuazione delle regole democratiche ha già raggiunto il suo compimento.
L’indebolimento dei partiti tradizionali spinge ad accelerare il cammino verso questa concentrazione di autorità anche nelle democrazie più consolidate della nostra Europa, dove le sfide politiche sono sempre più personali e tendono a perdere ogni contenuto programmatico. In questa linea si collocano in pieno i nuovi movimenti populisti che (escluso forse il caso della Germania) nascono e crescono affidandosi ad un unico, indiscusso e intoccabile leader come Marie Le Pen in Francia, Beppe Grillo in Italia o Geert Wilders in Olanda. Quello che più sorprende è che molti partiti tradizionali tendono a imitarli, scavandosi così la fossa!
Come giustamente scrivono autorevoli scienziati politici ( Yascha Mounk e Roberto Foa) stiamo assistendo ad un radicale cambiamento della democrazia: da una fase in cui il sistema democratico viene ritenuto naturalmente legittimo per il fatto che i cittadini possono discutere e votare, stiamo passando ad una fase in cui la gente non è più legata alle istituzioni in quanto può partecipare alla loro costruzione, ma solo per i risultati concreti che esse promettono in termini di crescita economica e sicurezza, qualsiasi sia il modo con cui questi risultati sono ottenuti.
Nei periodi di crisi e di insicurezza, come quello in cui viviamo, l’insoddisfazione per i risultati ha naturalmente raggiunto livelli più elevati: si afferma sempre più la spinta verso l’abbandono delle tradizionali espressioni della volontà popolare e verso l’affidamento del ruolo di guida ad una sola persona. Salvo poi accorgersi, in molti casi troppo tardi, che il tutto si reggeva su ipotesi non realistiche e non verificate. Nel frattempo, però, l’affievolimento delle tradizionali regole democratiche porta al potere leader sempre più improbabili, leader che, sostenuti da un contesto democratico fragile e solo apparentemente partecipativo, sono spinti a fare affidamento esclusivamente sul proprio carisma, con la quasi certezza di compiere proprio quegli errori che ancora più allontanano il raggiungimento dei risultati promessi.
Non è facile prevedere dove questa tendenza ci porterà in futuro, anche se essa non può che indebolire ulteriormente i già deboli poteri che la tradizionale democrazia ha affidato ai cittadini. È tuttavia un fatto chiaro ed assodato che, in questo modo, le nostre democrazie hanno perso tutta la capacità attrattiva che in passato avevano nei confronti dei regimi autoritari. È infatti difficile predicare agli altri le virtù di un sistema dal quale ci stiamo allontanando.