La Gran Bretagna è fuori, gli altri Paesi costruiscano ora un’Europa più forte
Dopo Bruxelles
La Ue rischia di affondare per mancanza di progetto
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 21 febbraio 2016
Ritornati a casa da Bruxelles i leader europei hanno espresso la propria soddisfazione per il modo con cui si sono conclusi i negoziati fra l’Unione Europea e la Gran Bretagna. Tutto questo è bene e ci uniamo al coro di approvazione anche se, analizzando le conclusioni dei due giorni di maratona, non è facile spiegare perché siamo contenti.
Il primo ministro britannico ha ottenuto quasi tutto quanto voleva, tanto che la cancelliera tedesca ha dichiarato che era stata data a Cameron la “stragrande maggioranza delle cose richieste”. Si tratta di concessioni che limitano il welfare degli immigrati e delle loro famiglie per un notevole periodo di tempo, di protezioni per la City nel campo finanziario, della possibilità di applicare limiti straordinari alla circolazione dei lavoratori ma, soprattutto, di una riaffermazione del principio che la Gran Bretagna sarà per sempre esentata dal partecipare ad un’Unione più integrata (no closer Union). Quindi niente Euro, niente libera circolazione sancita dagli accordi di Shengen e niente giustizia e sicurezza comune.
Dal punto di vista concreto queste conclusioni del Consiglio Europeo non contengono elementi rivoluzionari perché i limiti al welfare erano da tempo nell’agenda di molti altri paesi e la Gran Bretagna è già fuori dall’Euro, da Schengen e dalla politica di giustizia e di sicurezza comune. Le concessioni ulteriori sono poco più di un contentino per permettere a Cameron di tornare a Londra vantando conquiste sufficienti per potere vincere il referendum ed evitare quindi alla Gran Bretagna il disastro economico che accompagnerebbe la sua uscita dall’Unione Europea.
La vera conseguenza del vertice è un’altra ed è una conseguenza di straordinaria importanza: a Bruxelles l’Europa a più velocità ha avuto la sua consacrazione ufficiale. Da ora in poi l’Unione Europea dovrà essere sempre più fondata su diversi livelli di integrazione. Anche perché le eccezioni britanniche non rimarranno soltanto britanniche: altri paesi hanno ad esempio assecondato le “eccezioni sociali” richieste dal Regno Unito semplicemente perché anch’essi si apprestano a chiedere le stesse eccezioni.
A questo punto la responsabilità di costruire un ruolo europeo nel futuro del mondo è interamente sulle spalle dei paesi che, a differenza della Gran Bretagna, vogliono un’Unione più forte e sono disposti a mettere assieme le risorse materiali e politiche per costruirla.
In teoria tutti i paesi della zona Euro dovrebbero essere disposti a questo cambio di marcia ma, nella realtà concreta, le complicazioni di politica interna di molti tra questi stessi paesi rendono necessario un chiarimento politico definitivo. Non si può più andare avanti con eccezioni perché non si può andare avanti andando indietro.
Questo chiarimento deve essere urgentemente aperto dai grandi paesi che più di tutti si sono identificati nel processo di costruzione europea: su di essi pesa la responsabilità di elaborare e proporre il progetto di un’Europa più coesa e quindi capace di influire sulla politica e sull’economia mondiale, lasciando al margine chi vuole restare al margine ma non accettando che chi vuole restare al margine faccia anche da freno.
Sono perfettamente cosciente del fatto che un forte progetto di integrazione non è un obiettivo facile da raggiungere non solo perché troppe sono state le differenze e le tensioni degli ultimi anni ma anche perché perfino le priorità nelle agende dei paesi sui quali grava la responsabilità di disegnare la nuova Europa sono oggi molto diverse fra di loro. Oltre il solco fra nord e sud che si è creato nel sistema economico e finanziario, non si può sottovalutare la diversità delle priorità politiche dei tre maggiori potenziali protagonisti di questa indispensabile nuova fase dell’Unione Europea. La Germania ha ovviamente come priorità la gestione dell’immigrazione, la priorità della Francia è la difesa e l’Italia combatte soprattutto per una maggiore flessibilità del bilancio pubblico.
Continuando in questo modo non si va da nessuna parte. Per questo motivo il vertice di Bruxelles, che pure non ha preso nessuna grande decisione, segna lo spartiacque definitivo della politica europea.
Qualsiasi sia l’esito del referendum, la Gran Bretagna ha infatti scelto di essere per sempre qualcosa di diverso.
Se i paesi che rappresentano il cuore dell’Europa non decidono anch’essi di essere qualcosa di diverso, ma in direzione opposta, la paralisi è assicurata.
Dopo questo strano ultimo vertice gli equivoci sono finiti. O costruiamo in fretta il nuovo progetto o è finita anche l’Unione Europea.