Il capolavoro di Putin nella guerra del petrolio

L’ultimo accordo – Il capolavoro di Putin nella guerra del petrolio

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 3 dicembre 2017

Aveva suscitato grande scalpore il solenne e amichevole incontro fra Putin e il giovane leader dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman (ormai così popolare da essere comunemente indicato con il familiare acronimo di MBS).

L’intero centro di Mosca è stato paralizzato per ore così da ricevere nel modo più visibile la massima autorità di un paese che, più di ogni altro e con ogni mezzo, si è sempre opposto alla politica russa in Medio Oriente.

La Russia è stata infatti negli ultimi anni, e tuttora rimane, il protettore dell’Iran e della mezzaluna sciita, dei paesi cioè che più avversano la presenza Saudita nell’area del golfo.

Quando accadono eventi di questo tipo vuol dire che sono entrati in gioco interessi superiori. L’interesse superiore si chiama petrolio. Ancora una volta, nonostante tutte le scommesse ( che speriamo vadano a buon fine) nei confronti delle nuove energie, il petrolio è ancora superiore ad ogni interesse.

Nelle attuali circostanze esso è infatti determinante non solo per la Russia e l’Arabia Saudita (che insieme agli Stati Uniti ne sono i più grandi produttori mondiali) ma anche per l’Iran che, dopo il crollo produttivo dovuto alle pluridecennali tensioni politiche e all’embargo, ha bisogno di prezzi del petrolio che permettano di rimettere insieme la sua disastrata economia.

L’iniziativa russa è partita quindi su basi solide, tenendo conto degli interessi di tutti i grandi protagonisti della guerra del petrolio.

Prima di tutto di quelli russi, anche perché la Russia si sta avvicinando ad una sfida elettorale che, pur avendo un vincitore sicuro, viene certo resa  più facile da una spesa pubblica elevata. Una spesa certo impossibile con un prezzo del greggio che era sceso alla metà di quello su cui la Russia aveva fondato i numeri del proprio bilancio prima della crisi.

Anche se l’economia russa ha dimostrato negli ultimi mesi un’inattesa capacità di resistenza, la tenaglia fra i bassi prezzi del petrolio e le sanzioni continua a stringere il paese in una morsa dolorosa.

A sua volta, in Arabia Saudita, le immense riserve finanziarie si sono rapidamente assottigliate perché, di fronte alla diminuzione degli introiti degli idrocarburi, sono enormemente cresciute le spese militari sia per l’enorme acquisto di armi che per la infausta missione militare in Yemen. Senza tenere in conto dei cospicui investimenti interni che MBS ha programmato nella sua strategia di modernizzazione del paese.

Nella recente riunione dell’OPEC a Vienna Putin, anche se la Russia non fa parte di quest’organizzazione, ha portato a termine il suo progetto, impegnando tutti i presenti a limitare le produzioni in modo da potere stabilire prezzi ( intorno ai 60$ al barile) che gli esperti ritengono costituire un equilibrio di lungo periodo fra i produttori e i consumatori. Un livello che garantisce a Russia e ad Arabia Saudita di rendere gli equilibri di bilancio  compatibili con gli obiettivi politici. Prezzi certo più elevati rispetto ai livelli degli scorsi anni, ma non così elevati da mettere in crisi l’economia mondiale.

È stato infatti il buon tasso di sviluppo dell’economia mondiale a facilitare l’accordo, dato che la conseguente domanda crescente di petrolio ha permesso di fare risalire il prezzo senza dovere procedere a tagli della produzione così consistenti da render difficile l’accordo stesso.

Il prezzo proposto dovrebbe essere in grado di ottenere un tollerabile equilibrio degli interessi dei grandi protagonisti degli accordi di Vienna ma soddisfa anche gli Stati Uniti, in quanto alcuni tra i più efficienti produttori di shale-gas e shale-oil possono rientrare nel mercato. Sembra che i Sauditi volessero un prezzo più alto ma, in questo caso, la produzione americana avrebbe fatto un salto in alto tale da portare di nuovo a zero il prezzo del greggio.

Alla fine dei conti Putin si è comportato come si comportavano i produttori di automobili americani quando, negli anni d’oro, avevano il dominio assoluto del mercato interno e non potevano accordarsi sul prezzo. La prassi era che uno dei tre produttori ( in generale il secondo per grandezza, cioè la Ford) stabiliva il listino dei prezzi delle proprie vetture ad un livello capace di soddisfare non solo le proprie esigenze ma anche quelle della General Motors e della Chrysler. L’obiettivo era cioè quello di cercare il compromesso necessario per evitare una guerra dei prezzi disastrosa per tutti.

Naturalmente nessuno può prevedere se e quanto durerà quest’accordo. Negli Stati Uniti l’intesa si è rotta quando sono arrivati i produttori giapponesi a rivoluzionare il mercato. Nel nostro caso non resisterà certo quando si diffonderà in modo massiccio l’auto elettrica o quando scenderanno ulteriormente i costi delle energie alternative. Tuttavia manca ancora molto tempo per raggiungere l’uno o l’altro obiettivo.

Intanto Putin ha dimostrato di essere un abile negoziatore non solo in politica ma anche in economia.

In fondo, fino ad ora, se l’è cavata bene anche in presenza delle sanzioni.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
dicembre 3, 2017
Articoli, Italia