No a un intervento militare: sostenere Sarraj e aiutare i libici a ricostruire il loro Paese
Tripoli in bilico – Il pericolo di una Libia spaccata
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 17 aprile 2016
Dopo oltre cinque anni di una guerra di tutti contro tutti, una guerra che ha devastato il paese, si apre per la Libia una speranza di pace. Una speranza tenue, che potrebbe essere cancellata già nei prossimi giorni, in caso di un voto contrario al governo di Fayez Sarraj da parte del parlamento di Tobruk.
Quando il 30 marzo il candidato primo ministro arrivò a Tripoli via mare, perché l’aeroporto era impraticabile e i percorsi via terra insicuri, le speranze di avere un governo autorevole erano pressoché nulle ma, pochi giorni dopo, il Congresso Nazionale di Tripoli si è volontariamente sciolto ed ha riconosciuto l’autorità del Governo di Unità Nazionale guidato da Sarraj. Nello stesso tempo alcune tra le importanti tribù si sono avvicinate a questo governo, che è stato appoggiato anche dalle strutture economiche e finanziarie che, negli scorsi anni, hanno potuto, grazie ai mezzi di cui disponevano, esercitare una notevole influenza sulla quasi totalità delle forze che operano nel territorio libico.
Si tratta della Banca Centrale Libica (BCL), della potente Lybian Investment Authority (LIA) e della National Oil Company (NOC) che, anche nei momenti più drammatici, hanno distribuito risorse finanziarie a tutte le forze in campo.
Il voto del Parlamento di Tobruk resta quindi il grande ostacolo da superare per permettere al governo Sarraj di proseguire nel lungo e difficile tentativo di ricomporre un minimo di autorità nel paese.
Non si tratta di un un voto scontato, perché resta una forte opposizione da parte del generale Khalifa Haftar, che è l’uomo forte di Tobruk ed è, nello stesso tempo, direttamente appoggiato dall’Egitto. Non bisogna infatti dimenticare che l’Egitto ha esercitato in passato e tuttora esercita una grande influenza su tutta la Cirenaica e quindi sul governo di Tobruk. Ed è nello stesso tempo opportuno ricordare che l’80% delle risorse petrolifere attualmente sfruttate proviene dalla Cirenaica e che, fino al termine della seconda guerra mondiale, la Tripolitania e la Cirenaica erano entità totalmente separate tra di loro da diverse tradizioni storiche e tribali, tanto è vero che, alla fine del periodo coloniale italiano, fu quasi concluso un accordo internazionale per la separazione fra la Tripolitania e la Cirenaica.
Anche se vi sono robusti interessi che spingono alla separazione, quest’ipotesi deve essere vigorosamente contrastata. Durante i settant’anni che ci separano dalla seconda guerra mondiale i legami fra le diverse regioni libiche si sono infatti progressivamente intensificati e si sono altrettanto profondamente modificati i rapporti di forza e di cooperazione fra le diverse tribù, che ancora rimangono le strutture portanti del paese.
Con tutti i limiti che una situazione così complicata impone, è quindi opportuno aiutare il rafforzamento del governo di Tripoli e spingerlo a portare avanti il processo di aggregazione del numero più ampio possibile delle complesse entità che formano il popolo libico. Questo, per diverse ragioni, non è un cammino semplice.
In primo luogo per l’attiva presenza sul suolo libico di un forte nucleo di appartenenti all’ISIS. Alcuni analisti tendono a sottolineare che si tratta di poche migliaia di militanti armati. A parte il potere distruttivo che anche poche migliaia di terroristi possono mettere in atto, bisogna tenere conto non solo del progressivo aumento di questi militanti ma anche dell’esistenza di un’ampia zona grigia che, in assenza di un’autorità statuale, è sostanzialmente obbligata a venire a patti col terrorismo.
In secondo luogo occorre prendere atto che la Libia vive ( e dovrà vivere ancora per un lungo periodo di tempo) sugli introiti del petrolio, introiti che non possono essere divisi senza provocare insanabili conflitti.
Tutte queste ragioni debbono spingere la comunità internazionale ad aiutare il tentativo di formare un governo da parte di Sarraj, sperando che il parlamento di Tobruk voti in suo favore. Ogni altra ipotesi apre oggi scenari peggiori. Siamo consapevoli che questo governo parte con grandi limiti e non potrà raggiungere subito l’obiettivo di pacificare interamente la Libia ma sappiamo anche che un voto favorevole gli permetterà di raggiungere progressivamente un maggior controllo su tutto il paese, compresi i flussi migratori che tanto colpiscono l’Italia e l’Europa. È stato perciò opportuno il viaggio del ministro Gentiloni a Tunisi, opportuno e tempestivo, dato che ora assistiamo all’arrivo di una tale folla di ministri europei per cui, in una Tripoli che cerca di ricostruire la sua vita normale, dovranno istallare qualche nuovo semaforo per regolarne il traffico.
Allo stato attuale delle cose l’unico obiettivo a cui dobbiamo mirare non è perciò quello di intervenire militarmente ma quello di aiutare i libici a ricostruire il loro paese. Cinque anni di guerra hanno probabilmente indebolito il loro desiderio di combattere e hanno rafforzato la spinta verso un compromesso. Questo compromesso ha ora la prospettiva di concretizzarsi se si aprirà la strada a un governo nazionale. Purché naturalmente sia un governo inclusivo, pronto a riconoscere alle diverse componenti, comprese le tribù, l’autorità e il ruolo che possono esercitare nel paese.