Non c’è alternativa all’Europa, ma abbiamo bisogno di leader capaci e coraggiosi
La sfida da vincere tra speranze e paure
I facili populismi e la crisi economica mettono a dura prova le istituzioni e la tenuta della moneta unica, ma l’Unione resa il nostro futuro
Articolo di Romano Prodi sul numero speciale de Il Messaggero del 29 novembre 2013
Per spiegare la grandezza dell’Europa basterebbe ricordare che, per la prima volta dalla caduta dell’Impero Romano, abbiamo avuto due generazioni di pace mentre, appena al di fuori dei confini dell’Unione Europea, strage e disperazione hanno dilaniato intere nazioni, a cominciare dalla ex Jugoslavia. Mi sono tuttavia reso conto che questo grande risultato viene ritenuto del tutto scontato. Se parlo di pace ai giovani questo viene accolto come un esercizio di pura retorica. Così come appare altrettanto inutile sottolineare i vantaggi del mercato unico, con la conseguente libera circolazione di beni e di persone.
A mala pena appare qualche luce negli occhi dei miei giovani interlocutori quando viene a loro ricordato che si può viaggiare in tanti paesi senza timbri e passaporti o che si può studiare in qualche università straniera senza interrompere gli studi intrapresi in Italia.
Eppure i progressi maturati da queste due generazioni hanno migliorato la nostra vita come mai era accaduto in passato e l’Unione Europea è stata in grado di affrontare con successo non solo le sfide della ricostruzione ma anche di preparare la nostra società ai cambiamenti senza precedenti che sono avvenuti nel mondo.
Gli anni della crisi hanno fatto dimenticare anche i vantaggi più riconosciuti del modello europeo, a partire da una estensione dello stato sociale che protegge i cittadini nel momento del bisogno meglio che in qualsiasi altra parte del mondo, mentre la politica agricola e quella ambientale, pur con le loro mancanze e i loro difetti, rendono la nostra vita più tollerabile rispetto a quello che avviene negli altri continenti.
E si dimenticano o si ricordano con un contenuto negativo perfino le decisioni che ci hanno riparato da future tragedie e quelle che ci hanno preparato a giocare un ruolo di protagonisti nel nuovo mondo globalizzato.
Nella prima categoria mi preme ricordare l’allargamento dell’Unione avvenuta con rara tempestività dopo che la caduta della Cortina di Ferro aveva provocato un vuoto che avrebbe prodotto conseguenze destabilizzanti in tutta l’area. Pensiamo ai progressi della Polonia dopo che è entrata nell’Unione e confrontiamo tutto questo con le tensioni e le difficoltà dell’Ucraina, rimasta sola ed estranea rispetto a un contesto politico ed economico capace di proteggerla e di garantirne il futuro.
Tra gli strumenti indispensabili a preparare il nuovo nostro ruolo nel mondo vi è certamente la nuova moneta comune.
L’Euro era ed è lo strumento indispensabile per costruire un’economia forte ed è frutto di una decisione politica senza precedenti perché esso cambia i fondamenti stessi dello stato nazionale, che trova nella moneta la sua identità.
Una nuova moneta non è quindi una decisione solo economica volta a costruire l’Europa dei banchieri ma la più innovativa scelta politica dei tempi moderni. La nascita dell’Euro doveva essere naturalmente accompagnata da una progressiva armonizzazione della politica fiscale dei diversi Stati, come era nelle previsioni e nelle volontà di coloro che, con grande lungimiranza, l’avevano voluta.
Nonostante l’Euro abbia lavorato bene per sette anni, la politica comune che lo doveva proteggere e rafforzare non è stata messa in atto perché agli anni della speranza sono succeduti gli anni della paura. Paura della Cina, paura della globalizzazione, paura della disoccupazione, paura dell’immigrazione. In conseguenza di questa paura tutta l’Europa è stata percorsa da un crescente populismo che i governi, invece di combattere, hanno inseguito allentando i disegni di solidarietà e ritardando le decisioni che sarebbero state necessarie per rafforzare la moneta comune.
Quando è arrivata la crisi ci siamo accorti che non avevamo preparato gli strumenti per combatterla. La crisi nata negli Stati Uniti ha portato le sue ferite più gravi e devastanti in Europa perché mentre il governo americano ha preso decisioni adeguate e tempestive, in Europa si è esitato per mesi e mesi prima di intervenire e quando gli interventi sono stati decisi era già troppo tardi e la loro dimensione troppo limitata per avere effetto.
I governi europei, sfibrati dalla paura, hanno smesso di pensare ad una soluzione comune dei problemi e si sono concentrati solo sugli interessi elettorali immediati.
Quando è scoppiata la crisi greca si trattava di un problema certamente grave ma limitato a poche decine di miliardi di Euro, una dimensione facilmente affrontabile da un economia come quella europea che, pur con i suoi tanti problemi, rimane la più grande realtà economica mondiale.
L’imminenza delle elezioni nella regione tedesca del Nordrhein-Westfalen e il timore che un operazione di conveniente solidarietà potesse essere interpretata dagli elettori come un cedimento ai “pigri meridionali” ha spinto a rinviare ogni intervento fino a che le decine di miliardi si sono trasformate in centinaia e un piccolo problema in una catena di errori che ha provocato la caduta più grave e lunga degli ultimi decenni: una disoccupazione senza precedenti e un distacco crescente fra la Germania e gli altri paesi dell’Unione. E da allora si naviga a vista, con decisioni parziali e progressi lenti.
Tuttavia nessun governo ha in animo di abbandonare l’Euro perché tutti sanno che dal suo successo dipende il nostro futuro e tutti sanno che nessun paese europeo è in grado di affrontare da solo la sfida mondiale. La via dell’Europa futura è quindi tracciata per sempre e non abbiamo alcuna credibile strada alternativa. Questo è il messaggio che rivolgo ai giovani quando parlo d’Europa, aggiungendo loro l’auspicio che presto arrivino governanti capaci di preparare il futuro con la necessaria urgenza e il necessario coraggio.