Nuove regole per fermare la speculazione e salvare l’economia
Stop agli speculatori
I terremoti della finanza non fermano la crescita
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 24 gennaio 2016
Mai come in questi giorni è opportuno ripescare il vecchio detto che “su questa terra non si può mai stare tranquilli”. Questo vale per la politica e vale, ancora di più, per l’economia.
Poche settimane fa, quando facevamo qualche cauta previsione per l’anno nuovo, ci immaginavamo un futuro non certo roseo ma almeno con alcuni punti di certezza: una continuazione della buona crescita degli Stati Uniti, una lenta ma progressiva ripresa europea e una più modesta crescita dei BRICS e dei paesi in via di sviluppo, in presenza di difficoltà dovute all’abbassamento del prezzo del petrolio e all’assestamento dell’economia cinese su livelli di crescita più modesti, ma in un quadro complessivamente tranquillizzante.
Nessuno pensava che sarebbero subito iniziate nuove tempeste. Non si tratta di uno tsunami come nel 2007 ma di adattamenti molto più violenti del previsto agli avvenimenti in corso.
D’altra parte ben pochi ritenevano che l’Arabia Saudita avrebbe continuato a pompare petrolio anche a costo di spingerlo attorno ai 30 dollari al barile e, come comincia a pensare la maggioranza degli esperti del settore, verso livelli ancora inferiori in futuro.
Non so se questo avverrà ma è certo che la nuova leadership saudita (nuova davvero anche in termini di generazione) sembra volere sfidare fino in fondo i concorrenti iraniani e americani che hanno costi di estrazione in media più elevati di quelli della penisola araba. Una sfida che viene portata oltre i limiti prevedibili anche perché essa vuole concretamente esprimere la forte opposizione saudita di fronte alla nuova politica di Washington nei confronti di Teheran.
Il crollo dei prezzi del petrolio non è però dovuto solo all’offerta saudita ma anche alla caduta della domanda cinese che, per molti anni, aveva incredibilmente aumentato il consumo di materie prime di ogni tipo. Le cose stanno cambiando non tanto per il più modesto sviluppo cinese quanto per il suo mutamento qualitativo. La crescita del gigante asiatico sarà infatti probabilmente solo (si fa per dire) tra il 6% e il 7%, ma su una dimensione che ne fa ormai il più grande mercato mondiale. La novità sta nel fatto che in Cina la crescita dell’industria (che assorbe tante materie prime) sarà trascurabile, mentre sarà di due cifre la crescita del settore dei servizi che ne è un utilizzatore più modesto.
La tempesta finanziaria è quindi partita dalla Cina non tanto per le prospettive apocalittiche che qualcuno prevede ma perché i mercati finanziari cinesi sono ancora regolati in modo elementare ed i governanti hanno fatto interventi con il tatto di un elefante, bloccando e riaprendo i mercati in modo sostanzialmente casuale.
Le turbolenze cinesi sono state tuttavia sufficienti per spargere il panico nei mercati dei capitali internazionali e, quindi, per portare tensione nei cambi. È interessante tuttavia notare come la svalutazione del 10% dello yuan rispetto al dollaro, un fatto che in altri tempi avrebbe provocato reazioni durissime, sia passata quasi sotto silenzio: una dimostrazione di quanto tutti cerchino di evitare un rallentamento troppo forte dell’economia cinese, diventata ormai un pilastro fondamentale dell’economia mondiale.
A dispetto del caos della finanza, i così detti “fondamentali” dell’economia non sembrano quindi mutare in modo sostanziale. Gli Stati Uniti, a dispetto del forte calo degli investimenti nel settore energetico (soprattutto nello shale gas e nello shale oil) manterranno una crescita attorno al 2% mentre l’Eurozona avrà un tasso di sviluppo vicino all1,6%, con la Germania appena sopra la media e l’Italia appena sotto.
Se quest’analisi è fondata dobbiamo spiegare a noi stessi perché, nelle scorse settimane, abbiamo avuto veri e propri drammi nei mercati dei capitali. Credo che una spiegazione credibile sia quella che quando vi sono mutamenti come quelli descritti in precedenza, si generano flussi speculativi di portata enorme e difficilmente controllabile.
Fondi di investimento ( sovrani o non sovrani ) si muovono in direzioni diverse da quelle precedenti e, nel movimento, tendono ovviamente ad abbandonare le piazze finanziarie ritenute meno sicure dalla comunità degli affari. Tutte le borse europee sono entrate in questa tempesta globale ma la turbolenza della piazza di Milano è stata tra quelle che ha fatto più danni. Se non fosse intervenuta la Banca Centrale Europea a mettere in guardia gli speculatori credo proprio che la tempesta durerebbe ancora.
Anche se è assai difficile indicare rimedi concreti per imporre delle regole a questi enormi flussi speculativi bisogna tuttavia avere ben chiaro che, con la progressiva finanziarizzazione dell’economia mondiale, eventi di questo tipo non potranno che ripetersi. E non pensiamo che gli interventi di una qualsiasi banca centrale siano sempre insufficienti a evitare i disastri.
Non penso che possiamo rassegnarci a vivere in un mondo in cui la speculazione finanziaria diventi progressivamente padrona di tutto e possa distruggere in pochi giorni quello che si è costruito in anni di fatica. Questo è il vero grande problema che i massimi consessi internazionali dovranno mettere come prioritario nella loro futura agenda di lavoro.