Per garantirci l’energia serve un rapporto diretto con la Russia
Accordi bilaterali: il rapporto da costruire per ottenere il gas russo
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 31 gennaio 2022
Si è molto discusso sull’aumento del prezzo del gas e sulle sue devastanti conseguenze economiche, così come si è tanto discusso sui motivi che lo hanno provocato.
A questo punto diventa però necessario azzardare qualche ipotesi sulle future evoluzioni di questo problema, partendo dal fatto che, purtroppo, la transizione verso le energie pulite non può che fondarsi fortemente sul gas di cui, in Europa, produciamo solo il 9% del nostro consumo, mentre il 40% arriva dalla Russia.
Molti osservatori cercano di tranquillizzare l’opinione pubblica sostenendo che quest’anomalo aumento sarebbe solo temporaneo, ma almeno fino ad oggi, i “contratti futures” prevedono che la crisi non sarà breve e che, se non si pone qualche rimedio politico, i prezzi a lungo termine saranno ancora più elevati.
Per la ragione accennata in precedenza, la domanda di gas sta infatti aumentando in tutto il mondo: con un ritmo impressionante in Cina e, oltre le previsioni, in Europa. Questo non solo in conseguenza della ripresa economica, ma anche per la chiusura definitiva di tre centrali nucleari in Germania, come conseguenza della nuova politica tedesca di accelerare l’uscita dal carbone. A cui si aggiunge la sospensione della produzione di quattro centrali nucleari francesi per necessità di manutenzione.
Inoltre i gasdotti alternativi a quelli russi (principalmente da Algeria, Norvegia e Azerbaigian) non sono in grado di aumentare sensibilmente l’offerta in tempi sufficientemente brevi.
Nelle ultime settimane si sono moltiplicati i colloqui fra le autorità americane e europee per aumentare la fornitura di gas liquefatto e, in effetti, sono arrivate nei nostri porti dagli Stati Uniti una settantina di navi gasiere, mentre si stanno moltiplicando i rapporti con Qatar ed Egitto per aumentare la loro fornitura di gas all’Europa.
Si tratta tuttavia di rimedi parziali, che possono diventare determinanti solo nel lungo periodo, dati i limiti della capacità di liquefazione dei paesi produttori, della capacità di trasporto delle navi specializzate e della capacità di rigassificazione dei paesi europei.
Siamo quindi condannati a vivere in un mercato in cui la domanda è superiore all’offerta, i processi di diversificazione sono lenti e parziali e, almeno per quanto riguarda l’Europa, l’unico fornitore che ha la capacità di aumentare sensibilmente l’offerta nel breve periodo è la Russia che sta tenendo fede, come ha sempre fatto fino dai tempi dell’Unione Sovietica, ai contratti di lungo periodo, ma solo a questi.
Le forniture di gas russo, nell’ultimo trimestre del 2021, sono quindi diminuite del 25% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre le scorte europee (tra l’altro in parte notevole possedute dal gigante russo Gazprom) arrivano solo al 50% della loro capacità, di fronte al 70% di un anno prima.
L’Europa si trova quindi in una situazione estremamente vulnerabile, anche se quella italiana è leggermente più favorevole (ma solo leggermente), sia perché le nostre scorte sono un poco più elevate rispetto agli altri paesi (pari al 60%), sia perché possiamo godere di una fornitura supplementare dovuta all’entrata in funzione del famoso TAP, cioè del pur modesto gasdotto che arriva dall’Azerbaigian nelle Puglie e che tanto è stato avversato per motivi ambientali, anche se oggi nessuno si accorge del luogo in cui tocca le sponde italiane.
Si discute molto a Bruxelles se, in caso di aumento delle tensioni politiche, la Russia possa usare fino all’estremo l’arma del gas, interrompendo totalmente le forniture all’Europa, come arma di ritorsione di fronte a eventuali sanzioni.
Nella follia degli attuali rapporti internazionali tutto è possibile, ma Gazprom sarà molto attenta a consigliare a Putin questo passo, non solo perché la Russia non sarebbe più affidabile e non potrebbe perciò contare su contratti di lungo periodo, ma ancora più perché non potrebbe più contare nemmeno sugli introiti della vendita di petrolio all’Europa.
Non dimentichiamo che il petrolio è per la Russia fonte di reddito molto più importante di quella del gas e che, almeno per un certo periodo di tempo, il petrolio russo può essere sostituto da un aumento dell’offerta saudita e di altri grandi produttori.
Il vero problema resta quindi quello del prezzo del gas che, in Europa, è oggi sei volte superiore a quello americano. Nel lungo periodo questa è una situazione insostenibile. Russia ed Europa, anche nella difficile contingenza politica di oggi, hanno tutto l’interesse a non tirare troppo la corda e a ritornare ad un accordo duraturo che, come in passato, garantiva prezzi soddisfacenti per entrambi i contraenti e, nello stesso tempo, la sicurezza delle forniture.
Siamo stati noi stessi a volere limitare gli accordi di lungo periodo per affidarci, come una specie di rapporto fideistico, agli andamenti di mercato. Per un certo periodo di tempo ne abbiamo goduto, poi il mercato ci si è rivolto contro.
Credo che adesso sia interesse di entrambe le parti ricercare un accordo, anche se non sarà certo facile ritornare alla situazione di vent’anni fa quando, in un momento politico assai meno conflittuale di quello di oggi, la Commissione Europea, ai tempi della mia presidenza, operava perché si formasse un consorzio fra Russia, Ucraina e Unione Europea, in modo da garantire sicurezza e regolarità nelle forniture di gas.
Sicurezza e regolarità che oggi possiamo costruire solo con un rapporto diretto: un rapporto molto difficile, ma necessario e conveniente per entrambi i contraenti.