Per rilanciare l’economia occorre risanare il sistema bancario. Ecco la mia proposta
La crisi del credito/ Una bad bank di sistema per aiutare la nostra ripresa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 6 ottobre 2013
Da quando quasi due anni fa l’Italia ha corso sul filo della bancarotta, i governi che si sono succeduti hanno dovuto soprattutto rimettere in ordine i conti pubblici, in linea con le direttive europee e le imprescindibili necessità del risanamento del bilancio.
Questi sforzi hanno avuto un certo successo e il deficit non si è, da allora, sostanzialmente allontanato dal magico 3%. Nonostante la crisi di governo, anche quest’anno resteremo entro questi limiti.
Questa politica di prolungata austerità, in presenza di un’ Europa a crescita zero, ha tuttavia messo a dura prova l’Italia, provocando una discesa del nostro PIL molto più ripida di quella degli altri grandi paesi e promettendo poi una ripresa di cui si vedono ancora segni più deboli rispetto ai nostri vicini.
Anche se l’enorme debito pubblico ci obbliga ancora a rimediare ai danni del passato, non vedo come si possa fare politica solo guardando indietro, perché se il PIL non cresce non si può certo porre termine alla politica di austerità e si crea di conseguenza una catena infernale che ci spinge sempre più a fondo.
Guardare avanti, oltre alle grandi riforme di cui sempre si parla e che richiederanno tempo e stabilità politica, significa dare un rapido impulso al sistema economico senza appesantire il bilancio pubblico.
In Italia quest’operazione passa attraverso il necessario rafforzamento del sistema bancario. Come mette in giusto rilievo l’ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale, la circolazione sanguigna del nostro corpo economico è costituita essenzialmente dal sistema bancario, su cui si fonda, a differenza degli altri paesi, l’85% di tutte le attività finanziarie. Senza banche forti e dinamiche l’economia italiana muore.
Le nostre banche non erano certo le prime del mondo ma la lunga crisi economica e l’adozione di regole di comportamento singolarmente severe ne hanno troppo indebolito il ruolo. Per effetto della crisi i crediti “deteriorati” sono cresciuti dal 5,5% del 2007 al 14% alla fine del 2012, mentre le regole di Basilea 3 hanno imposto alle banche un costoso sforzo di ricapitalizzazione, anche perché la Banca d’Italia ha creduto necessario applicare alle nostre banche criteri di comportamento più rigorosi di quelli imposti alle banche tedesche o francesi.
Stretti in questa morsa infernale i nostri istituti di credito da un lato trovano sempre maggiori difficoltà ad approvvigionarsi delle risorse necessarie per fare credito alle imprese o sono costrette a farlo a prezzi molto più elevati dei propri concorrenti, data la mole dei crediti “deteriorati” e la diffidenza dei prestatori stranieri.
Evidentemente tutto questo non può che rivolgersi a danno delle imprese alle quali viene negato il credito o, nei casi in cui sia disponibile, esso lo è a prezzi non sostenibili.
Se si vuole fare riprendere vitalità al corpo della nostra economia bisogna per prima cosa ripristinarne la circolazione sanguigna.
Occorre cioè mettere le banche in grado di fare il proprio mestiere di fornitore delle risorse finanziarie indispensabili alla nascita e alla vita delle imprese. Risorse che, scusatemi la ripetizione, in Italia sono fornite quasi esclusivamente dalle banche.
Per essere in grado di fare il loro mestiere esse debbono essere quindi alleggerite di parte dei cattivi debiti che lo rendono impossibile.
Non si tratta di nazionalizzare le banche o di allentare il controllo che deve essere esercitato nei confronti di chi eroga credito ma di prendere atto della situazione in cui siamo caduti e dalla quale non riusciremo a uscire senza un cambiamento radicale.
Diviene quindi necessario, con la cooperazione di soggetti privati e pubblici, dare vita a una struttura che, rilevando una parte dei crediti “cattivi” delle banche, permetta il ripristino della circolazione sanguigna del nostro corpo economico.
Non possiamo certo ripetere alla lettera quanto ha fatto la Spagna che, in varie forme, ha rivitalizzato un sistema bancario ben più sbilanciato del nostro, dotandolo finora di oltre 60 miliardi di euro per la necessaria ricapitalizzazione. Non lo possiamo fare perché quest’operazione viene considerata dall’ Eurostat un puro e semplice aumento del debito pubblico e noi non siamo in grado di permettercelo, anche se la nostra economia è certamente in condizioni migliori di quella spagnola.
Dobbiamo perciò riflettere sull’ipotesi di un’iniziativa più complessa, che coinvolga tutto il sistema finanziario nazionale, dalla Banca d’Italia alla Cassa Depositi e Prestiti e comprenda interventi di capitali privati affiancati da un’eventuale garanzia pubblica. Un’operazione di sistema attentamente studiata e regolata non potrebbe che ricevere la necessaria benedizione della Banca Centrale Europea, attenta per definizione al sano funzionamento del sistema bancario di tutti i paesi. Capisco di sollevare un tema che ben pochi vogliono affrontare di petto ma, proprio leggendo il rapporto del FMI, si vede chiaramente che le nostre banche hanno fatto quasi tutto il possibile per migliorare il loro livello di solvibilità ma che più di tanto non si può fare, date le difficili condizioni di contorno.
Se così stanno le cose credo che Banca d’Italia, ABI e i rappresentanti del Ministero dell’Economia debbano riflettere assieme su come costruire questo strumento. Ho lungamente sperato che una forte ripresa lo rendesse non necessario ma il corso degli avvenimenti mi spinge a pensare che senza il risanamento del settore bancario sarà ben difficile rimettere in corsa il nostro sistema economico.