Perchè tutto cambi nell’immensa società cinese è possibile che nulla debba cambiare a Pechino?
A Pechino nulla cambia affinché tutto cambi
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 18 novembre 2013
Il terzo plenum del Partito Comunista Cinese si è riunito per tre giorni, dal 9 al 12 novembre, in un albergo della periferia di Pechino per prendere le grandi decisioni sul futuro del Paese. Tre giorni di importanza fondamentale per la Cina e per il mondo, anche se le conclusioni del conclave non sono facili da decifrare perché, a differenza di quanto avviene nelle democrazie occidentali, i dibattiti si sono svolti in completa riservatezza e il loro esito deve essere analizzato quasi esclusivamente attraverso l’analisi del comunicato finale. Un’analisi complessa perché in questo comunicato sono contenuti gli obiettivi generali e le priorità della politica futura ma non ne vengono precisate le decisioni specifiche né i tempi e i modi della loro messa in atto.
Anche se la velocità e le modalità del cammino da compiere non sono quindi esplicitate, la direzione di marcia è chiara e condivisa per cui, con ogni probabilità, resterà immutata per un intero decennio.
Non vi saranno cioè vertici straordinari dedicati a mettere in discussione le decisioni prese: solo eventi imprevedibili potranno produrre radicali cambiamenti di direzione. Ebbene nella lettura del comunicato finale non appaiono sostanziali novità nella politica mentre molti sono i messaggi di cambiamento nell’economia.
Il plenum ha cioè preso atto che, per prolungare anche per il futuro gli straordinari tassi di sviluppo del passato, è necessario mettere un argine all’espansione delle imprese pubbliche e lasciare un maggiore spazio al mercato. Non sarà facile perché il peso delle imprese pubbliche è ancora rilevante ed i loro dirigenti hanno un ruolo determinante sia al centro del sistema che nelle grandi aree metropolitane e nelle provincie. Per questo motivo il comunicato finale apre alle riforme ma, nello stesso tempo, vuole riassicurare i potenti mandarini che “le imprese pubbliche costituiscono un elemento fondamentale del nostro sistema”.
Vi è quindi la chiara consapevolezza che, per continuare a crescere, è necessario iniettare nell’economia un’ulteriore dose di libero mercato, dati i disastri provocati, soprattutto a livello locale, dalla continua ingerenza delle autorità del Partito. Questa consapevolezza viene tuttavia accompagnata da una grande prudenza e da altrettanto grandi garanzie a protezione dell’esistente establishment. La prudenza deriva anche dalla constatazione che i necessari cambiamenti non riguardano soltanto le imprese industriali ma anche le campagne, dove la proprietà della terra è ancora in mano allo stato ed è gestita dalle autorità politiche locali attraverso abusi e scandali che spesso hanno provocato disordini e rivolte. Quando si parla della Cina bisogna infatti tenere presente che la metà del miliardo e quattrocento milioni di abitanti vive ancora nelle campagne e che, se si vuole conservare un elevato ritmo di sviluppo dell’economia, quasi trecento milioni di persone dovranno trasferirsi dalle campagne alle città nello spazio di una sola generazione. Una trasformazione di questa dimensione (impresa quasi inimmaginabile) risulterà del tutto impossibile se non verranno progressivamente riconosciuti maggiori diritti ai contadini in modo che, da un lato, essi possano fare nascere aziende agricole più efficienti e, dall’altro, possano accumulare, attraverso la vendita della terra, le risorse necessarie alla costruzione delle abitazioni per coloro che abbandoneranno la campagna.
Tutti questi cambiamenti sono accompagnati da un promettente processo di liberalizzazione del sistema bancario, da una progressiva abrogazione della regola del figlio unico e da una limitazione dell’applicazione della pena di morte.
A fianco di queste importanti ipotesi di trasformazione dell’economia e della società non appaiono prospettive di cambiamento altrettanto importanti nel sistema politico. Non vi è nessun accenno ad un avvicinamento alle democrazie occidentali e non si parla di elezioni o di altre forme di partecipazione politica né a livello centrale né a livello locale.
Decine di volte si parla di riforme economiche ma poi viene sempre ribadito che ” il sistema socialista è conforme alla realtà nazionale e alle condizioni fondamentali del popolo cinese.”
Le decisioni del plenum rafforzano anzi la centralità del Partito Comunista in quanto la strategia per l’attuazione delle riforme viene affidata ad un “Gruppo Dirigente Centrale” che, sotto il diretto controllo del Presidente e Segretario del Partito, dovrà essere il motore di questa ulteriore fase della rivoluzione cinese.
Questa prima analisi dei risultati del plenum, pur con i limiti rilevati in precedenza, ci offre quindi la possibilità di una lettura semplificata: le riforme economiche sono necessarie e saranno messe in atto, ma debbono essere accompagnate dalla conservazione e dal rafforzamento delle strutture politiche esistenti. Siamo cioè nella dottrina opposta a quella del Gattopardo, secondo la quale a Palermo tutto doveva cambiare affinché tutto potesse rimanere uguale.
Il messaggio che ci viene dal Plenum è che nulla debba cambiare a Pechino affinché tutto possa cambiare nell’immensa società cinese.
Una tesi non certo nuova e del tutto comprensibile data la drammatica difficoltà di portare a termine una trasformazione che non ha alcun precedente nella storia dell’umanità.
Gli eventi futuri ci diranno se sia possibile andare avanti a lungo progredendo nelle riforme economiche senza allargare nello stesso tempo la partecipazione politica.
Io penso che si arriverà a un momento in cui i due obiettivi diventeranno fra di loro incompatibili e mi auguro che la millenaria saggezza del popolo cinese sappia allora suggerire in tempo le necessarie decisioni.