Rifondare l’Europa cominciando dall’esercito
Rifondare l’Europa cominciando dall’esercito
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 2 aprile 2017
Con la lettera del primo ministro britannico Theresa May al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk è cominciato il lungo processo del distacco della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Fiumi di inchiostro sono stati scritti sul possibile andamento dei prossimi due anni di trattative: si va da un accordo quasi concordato a scontri durissimi su tutti i fronti. Naturalmente ci auguriamo che si verifichi la prima ipotesi ma le prese di posizione iniziali fanno propendere per la seconda, anche se è comprensibile che, all’inizio di un negoziato, i muscoli prevalgano sulla diplomazia.
Non saranno comunque trattative facili perché le controversie sono quasi infinite: da quanti soldi il Regno Unito dovrebbe versare all’Unione all’adeguamento delle 18.000 norme recepite dalla Gran Bretagna nei decenni del legame con l’Unione fino ai problemi degli oltre tre milioni di cittadini europei che risiedono in Gran Bretagna e che hanno paura di divenire l’ostaggio dei lunghi e difficili negoziati. Se non bastasse a questo si aggiungono i problemi legati al confine fra la Gran Bretagna e l’Irlanda (saldamente membro dell’Unione), le velate minacce di una minore cooperazione nei confronti del terrorismo e, soprattutto le complicazioni che regoleranno i futuri rapporti commerciali. Senza contare naturalmente l’ipotesi espressa dal Primo ministro britannico di fare della Gran Bretagna una specie di paradiso fiscale.
Entrambe le parti stanno perciò apprestando robuste squadre di negoziatori, ovviamente specializzati a rendere più difficile la posizione della controparte. Di questo però già molto si è scritto e molto si scriverà.
Per ora mi sembra più produttivo cercare di riflettere su cosa oggi conviene all’Unione, che vive ormai da molti anni paralizzata dalle sue diversità interne, anche se una discreta parte di queste era frutto della “diversità britannica”, costantemente guidata da funzionari e da ambasciatori forniti di straordinaria capacità negoziale.
Il primo obiettivo europeo non può che essere quello di riprendere il cammino interrotto per troppi anni.
Quasi per assurdo questo oggi è ragionevolmente possibile. Proprio in conseguenza della Brexit e della palese ostilità di Trump verso l’Europa, la cancelliera tedesca ha dato il semaforo verde alla proposta che noi italiani avevamo da tempo messo sul tavolo: in mancanza di un accordo unanime è meglio camminare verso l’Unione con diverse velocità.
In fondo si tratta di applicare il buon senso: se non tutti i paesi vogliono fare passi in avanti e si accontentano di quest’Europa incompleta, è bene che coloro che aspirano a forme di collaborazione più stretta lo possano fare, purché vi partecipi un adeguato numero di paesi e sia sempre lasciata aperta la porta a chi, mostrando lo stesso impegno, voglia parteciparvi in futuro. Il che permetterebbe finalmente di dare concretezza a molti progetti ora lasciati a metà del cammino: dal campo ecologico a quello energetico, dall’economia alle iniziative sociali o culturali.
Nei prossimi mesi può perfino aprirsi la concreta prospettiva di un enorme passo in avanti nel settore della difesa. La Francia, dopo la fuga britannica, possiede il più forte esercito dell’Unione, è l’unico paese europeo con il diritto di veto nell’ambito del Consiglio di Sicurezza, ed è l’unico che ha in dotazione l’armamento nucleare. Le maggiori probabilità di vittoria alle imminenti elezioni presidenziali francesi (anche se le previsioni non sono mai sicure) sono di Emmanuel Macron, che si presenta agli elettori con un programma filo-europeo come nessun presidente francese ha mai portato avanti, nemmeno Mitterand. Ebbene Macron ha molte carte in mano (utilizzando l’istituto della cooperazione rafforzata) per dare inizio al processo di costruzione dell’esercito europeo, di quell’esercito europeo che fu bocciato proprio dall’Assemblea francese nel lontano 1954.
Con quest’iniziativa Emmanuel Macron può raggiungere un triplice risultato: in primo luogo rafforzare il ruolo della Francia in Europa dopo un declino quasi ventennale, come seconda conseguenza dotarla di un più forte peso politico nel mondo, potendo rappresentare tutta l’Europa al Consiglio di Sicurezza e, infine, fornire la migliore risposta alle umiliazioni che quotidianamente Trump ci riserva.
Nessuno pretende ovviamente che il seggio francese al Consiglio di Sicurezza sia trasferito all’Unione Europea, anche se questo ci renderebbe tutti ancora più forti, compresi i francesi. In questa fase storica è sufficiente che si trovino forme di consultazione e di coordinamento per l’esercizio del potere stesso. Sono convinto che Germania, Italia e Spagna aderirebbero con entusiasmo a questo progetto e sono convinto che molti altri paesi seguirebbero, anche perché, almeno in una prima fase, l’efficienza dell’esercito europeo aumenterebbe enormemente con la semplice unificazione dei comandi e senza bisogno di risorse finanziarie aggiuntive. Naturalmente, come ho già sottolineato in precedenza, quello che viene qui proposto per la difesa può essere messo in atto anche per fare avanzare l’Unione in tanti altri settori.
E’ chiaro che l’Europa a più velocità non è l’ideale che ci proponevamo quando il progetto europeo godeva ancora di uno slancio condiviso, ma è l’unico strumento che possediamo per dimostrare coi fatti che siamo in grado di costruire una casa comune a vantaggio di tutti. Naturalmente se invece di Emmanuel Macron vincesse la Marine Le Pen il problema non si porrebbe, perché della casa europea non resterebbero nemmeno le fondamenta.