Scozia, Regno Unito, Catalonia: fuori dall’Europa autodeterminazione e pluralismo si trasformeranno in anarchia e ingovernabilità
Il referendum scozzese e le conseguenze per l’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 14 settembre 2014
Il prossimo 18 settembre i cittadini scozzesi saranno chiamati a decidere se proseguire o meno l’Unione con l’Inghilterra, il Galles e l’Irlanda del Nord. Un’unione che dura dal 1707 e che ha contribuito a fare del Regno Unito di Gran Bretagna uno dei principali protagonisti della storia degli ultimi secoli.
Le motivazioni che stanno alla base della domanda di indipendenza sono insieme di carattere economico e politico.
Dal punto di vista economico i separatisti sostengono che il peso fiscale della Scozia sia eccessivo, che i ricavi del petrolio si dirigano soprattutto in favore dell’Inghilterra e che i tagli previsti dal governo conservatore per diminuire i costi del sistema sanitario andranno a danno della Scozia stessa.
Non sempre queste ragioni sono convincenti: esistono mille rapporti in favore di queste tesi ma altrettanti che dimostrano il contrario. Le vere motivazioni vanno soprattutto ricercate nel richiamo della storia e, soprattutto, nella diversità degli obiettivi politici. In una Gran Bretagna retta da un governo conservatore tutti i parlamentari scozzesi sono laburisti e, tra gli elettori, è progressivamente aumentata la lontananza nei confronti di Westminster, con una speciale avversione riguardo al primo ministro David Cameron. Bisogna tuttavia aggiungere che molti elettori sono altrettanto freddi nei confronti di Tony Blair e Gordon Brown, scozzesi ed ex capi di governo laburisti, entrambi accusati di essersi piegati agli interessi londinesi.
Il Primo Ministro Cameron, da parte sua, è andato al referendum a cuor leggero e non si è curato di precisare le possibili politiche governative nei confronti delle richieste scozzesi riguardo ai proventi del petrolio, alla politica del welfare e al peso fiscale. Anche perché la differenza nelle intenzioni di voto fra coloro che erano contrari alla separazione e coloro che erano favorevoli era abissale in favore del mantenimento dell’unione. Col passare del tempo l’abilità del leader separatista Alex Salmond e la distrazione dei capi dei grandi partiti hanno colmato il vuoto. I leader dei partiti maggiori David Cameron, Ed Miliband e Nick Clegg si sono perciò precipitati in Scozia per tentare di raddrizzare la situazione. Anche in conseguenza di questa reazione il no alla separazione è ritornato oggi a prevalere, ma con un vantaggio così esile da rendere ancora incerto il risultato di giovedì prossimo.
Se prevarranno i no partirà semplicemente un lungo negoziato per aumentare il già elevato livello di autonomia. In caso di vittoria dei separatisti le conseguenze saranno di ben maggiore portata. Non solo verranno ridiscussi tutti i rapporti economici ed istituzionali fra Scozia e Gran Bretagna (potrà chiamarsi ancora Gran Bretagna?) ma seguiranno conseguenze politiche di enorme portata.
Prima di tutto il Primo Ministro Cameron sarà costretto a dimettersi per aver affrontato il referendum in modo superficiale ma, a loro volta, gli oppositori laburisti, privati del voto scozzese, perderanno ogni speranza di vincere le elezioni. Non dimentichiamo inoltre che si sta avvicinando il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea e, anche in questo caso, la mancanza del voto scozzese, generalmente favorevole all’Europa, renderà più probabile la decisione di uscire dall’Unione. Se poi, nonostante tutto ciò, prevalesse il si all’Europa, la Gran Bretagna, contando un minor numero di abitanti, ne uscirebbe fortemente indebolita sia nel parlamento che nelle altre istituzioni europee.
A queste conseguenze interne alla Gran Bretagna se ne aggiungeranno altre in diversi Paesi a cominciare dalla Spagna, dove le tendenze separatiste dei Paesi Baschi e della Catalogna stanno prendendo sempre maggior vigore, come si è visto nelle manifestazioni della scorsa domenica a Barcellona, dove centinaia di migliaia di persone hanno pacificamente invaso la città inneggiando alla completa separazione da Madrid.
Può sembrare singolare che, proprio in un periodo storico in cui, anche se con tante difficoltà, l’Unione Europea è ancora un decisivo elemento di attrazione per tanti Paesi che vi vogliono entrare, si manifestino al suo interno crescenti tendenze verso l’indipendenza e la frammentazione.
Il tutto è invece molto comprensibile perché proprio l’ombrello europeo permette livelli di autonomia che, nella grande globalizzazione mondiale, non sarebbero compatibili con una vita prospera di un piccolo Paese.
Senza che vi sia un disegno preciso si va quindi camminando verso la concreta costruzione di un’Europa delle differenze, con una sempre più accentuata attenzione agli aspetti dell’autodeterminazione e del pluralismo. Se ben gestito questo processo può anche venire incontro alle legittime aspirazioni dei cittadini. Mi auguro solo che le differenze non diventino eccessive perché, in questo caso, autodeterminazione e pluralismo si trasformano fatalmente in anarchia e ingovernabilità.