Senza una chiara politica economica rischiamo l’era glaciale
Senza una chiara politica economica rischiamo l’era glaciale
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 20 dicembre 2018
Al termine dell’anno, come è doverosa e utile consuetudine, si usa fare un rapido consuntivo su quanto è accaduto e, soprattutto, su quanto potrà accadere nell’economia del prossimo anno. Naturalmente, nel portare avanti quest’esercizio, la difficoltà non è descrivere il passato (impresa relativamente semplice) ma prevedere il futuro.
Riguardo a quest’ultimo compito mi auguro solo che queste mie previsioni siano sbagliate. I dati negativi accumulati nelle ultime settimane nello scenario mondiale, europeo e italiano, non lasciano infatti molto spazio all’ottimismo.
Preferisco in ogni modo partire da uno dei pochi dati positivi: gli Stati Uniti crescono ancora bene, chiudendo l’anno con un aumento del PIL intorno al 3%, anche se penso che quest’andamento così favorevole potrà durare per un periodo di tempo abbastanza limitato. I tassi di interesse americani sono infatti in aumento (anche se forse meno del previsto) e, soprattutto, il deficit del bilancio pubblico ha raggiunto un livello così alto che non può essere mantenuto a lungo. Gli osservatori più accreditati si dividono però fra coloro che pensano che un più pronunciato rallentamento arriverà nel corso del prossimo anno ed altri che lo prevedono per il 2020. Personalmente aggiungo che con Trump è difficile fare previsioni ma che una contrazione, seppure moderata, della crescita americana comincerà già dai prossimi mesi.
Quanto alla Cina si punta su una crescita ancora superiore al 6% ma gli ultimi dati sugli investimenti, sui consumi, sulla produzione industriale e, soprattutto, sull’andamento del settore automobilistico e dell’edilizia, fanno pensare che questo obiettivo potrà essere raggiunto solo con una politica di massicci interventi pubblici. Il che è possibile: è però evidente che il tanto auspicato passaggio da una crescita fondata prevalentemente sugli investimenti e sulle esportazioni ad uno sviluppo maggiormente promosso dai consumi interni risulta più complesso del previsto, anche perché le prospettive sulle esportazioni sono diventate pesanti in conseguenza delle crescenti difficoltà del commercio internazionale.
Tocchiamo con questo riferimento il punto più delicato riguardo alle previsioni per il prossimo anno: non sappiamo infatti quanto la guerra commerciale moltiplicherà nel prossimo futuro gli effetti negativi che già si sono manifestati negli ultimi mesi.
Se nel resto del mondo emergono crescenti difficoltà, l’economia europea ha già innestato il freno, a cominciare dalla Germania, dove l’aumento del PIL è previsto in calo dal 2% di quest’anno all’1,1% dell’anno prossimo. In deciso rallentamento non solo perché le difficoltà del commercio internazionale si riverberano in modo maggiore su un paese eminentemente esportatore ma perché sono calati gli investimenti e, soprattutto, sono molto cauti i comportamenti dei consumatori.
Quanto all’Italia si sta ripetendo il copione già visto più volte negli ultimi anni: quando l’Europa è in ripresa noi cresciamo meno, quando è in discesa noi scendiamo più forte. Nel prossimo anno i ventotto paesi dell’Unione Europea aumenteranno il loro PIL di un modesto 1,2% ma questo pur modesto obiettivo resta per noi un traguardo impossibile da raggiungere. Già nel secondo semestre dell’anno in corso la crescita italiana è stata vicina allo zero, sia per la diminuzione degli investimenti che dei consumi. Su entrambi i fronti, in aggiunta al quadro internazionale precedentemente descritto, gravano l’incertezza della politica del governo e le continue tensioni con l’Unione Europea. In particolare, per quanto riguarda gli investimenti, una parte non trascurabile viene cancellata o rinviata per effetto dell’abrogazione degli incentivi previsti nel cosi detto programma “Industria 4.0”. Riguardo ai consumi le famiglie adottano comportamenti più prudenti: in ribasso la domanda di molti beni durevoli (a partire dalle automobili) e stagnanti i consumi alimentari. Di conseguenza, pur in presenza delle difficoltà esistenti, aumentano i depositi in banca.
Quest’incertezza ha provocato danni concreti: per il calo delle quotazioni dei titoli di Stato e del mercato azionario le famiglie italiane hanno già perso oltre 80 miliardi di Euro di ricchezza, mentre altre decine di miliardi hanno preso la via dell’estero. Non dobbiamo quindi sorprenderci se le previsioni più accreditate, da quelle della Banca d’Italia a quelle del Fondo Monetario Internazionale, non solo si sono allontanate dalle previsioni del Governo ma hanno progressivamente aumentato il loro livello di pessimismo, fino ad arrivare alla recentissima accurata analisi di Prometeia, nella quale si legge che la crescita del prossimo anno non si discosterà sostanzialmente dallo 0,5%, rendendo così ancora peggiori le prospettive di occupazione e ancora più lontana la possibilità di una diminuzione del rapporto fra debito e PIL.
Nessuno di noi può sapere con certezza se e come si concluderanno i negoziati con la Commissione Europea, ma è difficile dubitare che se non si traccerà presto un chiaro percorso per la nostra politica economica, anche quest’ultima previsione, che purtroppo condivido, risulterà ottimista.
Per tutte queste ragioni spero proprio di avere sbagliato le previsioni e che, invece, la stagione volga al bello. D’altra parte, come dice il poeta: “Se l’inverno è presente può la primavera essere lontana”? Auguriamoci quindi, almeno, di non essere entrati in un’era glaciale. Quest’ipotesi, tuttavia, richiederebbe ben altre riflessioni sul futuro dei nostri sistemi economici.