Siria: l’unica via per fermare l’ISIS è un accordo fra USA e Russia
Solo l’accordo tra Russia e Stati Uniti salverà la Siria
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 13 settembre 2015
Le analisi sulla tragedia siriana sono così numerose e contrastanti da produrre un crescente disorientamento anche tra i massimi esperti delle questioni mediorientali. Si sa tutto di quanto sta avvenendo ma divergono sempre più le ipotesi di come le cose possano essere risolte.
La tragedia di cinque anni di guerra ha ormai raggiunto livelli inimmaginabili: oltre 250mila morti e quasi sette milioni di rifugiati. Le migliaia e migliaia di vittime che hanno bussato alle porte dell’Europa sono solo una piccola parte di coloro che, fuggiti nei paesi vicini, vivono nella disperazione dei campi profughi.
Nonostante le conseguenze di questa tragedia, la guerra fra sciti e sunniti e fra le infinite frazioni di sunniti si estende e si approfondisce, preparando altre tragedie.
È ormai una guerra per procura perché le grandi potenze vi esercitano un’influenza decisiva ma non riescono o non vogliono trovare tra di loro un accordo, anche se, dalla Cina alla Russia, dall’Europa agli Stati Uniti, il terrorismo che si raduna attorno ai vari califfati viene ritenuto il pericolo numero uno della pace e della convivenza mondiale.
Fino ad ora non si è trovata nessuna intesa contro questo nemico comune, che si è quindi rafforzato e che ancora più si rafforzerà se le tensioni fra le grandi potenze permetteranno che i terroristi continuino a ricevere immense risorse dalle vendite di petrolio, dai rapimenti, dai taglieggiamenti e dalle vendette che sempre si accompagnano alle guerre civili.
Negli ultimi giorni, anche perché indebolita dal crollo degli introiti petroliferi e dalle sanzioni, la Russia ha aumentato la propria presenza militare in Siria, non solo per ribadire la tradizionale amicizia con il dittatore Assad ma soprattutto per dimostrare che l’esercito siriano è l’unica forza attorno alla quale è possibile organizzare la lotta contro il califfato.
Gli Stati Uniti, e in misura minore (molto minore) la Francia e la Gran Bretagna, attaccano l’Isis con incursioni di aerei e di droni ma nessuno ha alcuna intenzione ed alcuna possibilità politica di inviare in Siria truppe di terra. L’opinione pubblica americana, anche quella che più preme per una politica muscolare, non è in grado di sopportare che altri cadaveri ritornino da guerre lontane. L’Iraq e l’Afghanistan sono un ricordo troppo recente di un prezzo altissimo pagato per ottenere risultati dubbi o negativi.
Nello stesso tempo tutti sono consapevoli che le guerre non si vincono con i droni ma con gli scarponi e gli unici scarponi, ancorché terribilmente malandati, sono quelli dell’arcinemico Assad, protetto dall’arciavversario Putin. Bisogna che di questo gli Stati Uniti prendano atto.
Per un po’ di tempo una buona parte dell’establishment militare americano ha coltivato l’illusione, ancora oggi portata avanti da alcuni intellettuali europei, che l’Isis sia fragile e fornito di forze non sufficienti per espandersi. Non sono un esperto militare ma sono costretto a constatare che, almeno fino ad ora, le cose sono andate in senso opposto. Le divisioni esistenti nello schieramento anti-terrorista non sono oggi in grado di proteggere né il popolo né le memorie storiche della Siria. Di conseguenza il Califfato è in posizione di crescente forza.
Tutto questo andrà avanti finché gli Stati Uniti continueranno a trovarsi nella posizione impossibile di combattere nello stesso tempo contro il terrorismo e contro il suo unico avversario sul terreno, e cioè l’odiato Assad.
La Russia ha fatto la scelta di essere con Assad contro il Califfato, costringendo gli Stati Uniti a decisioni estremamente difficili ma che non possono essere a lungo rinviate.
Tenendo conto della debolezza russa e delle contraddizioni americane, l’unica via possibile è un compromesso fra queste due grandi potenze in modo da lottare insieme contro il terrorismo e preparare, nei tempi e nei modi opportuni, la successione di Assad. Il caso iracheno e quello libico ( che ha tanti elementi comuni a quello siriano e nel quale noi italiani siamo in prima linea) dimostrano che l’abbattimento di un regime autoritario, senza preparare le soluzioni per il dopo, porta solo ad ulteriori e più gravi tragedie.
Da anni sono costretto a ripetere che, per vincere il terrorismo, non vi è soluzione al di fuori di un accordo tra le grandi potenze. Mi rendo conto di tutte le difficoltà che si frappongono a quest’accordo. Mi rendo conto che questo obbliga a mettere sul tavolo anche il problema ucraino, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Tutto difficile, ma l’alternativa è un’ulteriore immensa quantità di sangue e altri milioni di rifugiati. Un accordo, pur lento e faticoso, è la soluzione non solo razionale ma rispondente agli interessi russi, americani, cinesi ed europei.
Avanti quindi con trattative e negoziati. Anche se contrarie a principi più volte proclamati e a prese di posizioni lungamente ribadite, le trattative sono l’unica soluzione possibile. Non solo per il bene comune ma anche per perseguire gli interessi comuni. Bisogna però fare presto perché, in queste situazioni di grande tensione, gli incidenti sono sempre possibili.