Tre anni dopo, della Primavera Araba è rimasto ben poco, anche per colpa nostra
La primavera araba è fallita, colpa anche dell’Occidente
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 13 luglio 2014
A tre anni di distanza dal suo inizio nessuno ricorda più la Primavera Araba. E’ come se fosse un evento lontano nel tempo e nello spazio. Essa riguarda invece Paesi a noi vicini, Paesi che influenzano pesantemente la nostra politica e la nostra economia.
Questa disattenzione trova spiegazione non solo nella debolezza della politica estera italiana, sempre riluttante a prendere iniziative nel “mare nostrum”, ma anche nel fatto che la Primavera Araba è un fenomeno scarsamente unitario e non può essere quindi oggetto di un giudizio unitario. Cerchiamo quindi di vedere come stanno le cose nei diversi Paesi del sud Mediterraneo a noi vicino.
Partiamo da due Nazioni che, per diversi motivi, non sono state toccate da questo ciclone politico, cioè il Marocco e l’Algeria.
In entrambi i casi non vi è stata alcuna rivoluzione, non vi è stato alcun cambiamento. In Marocco la monarchia, ancora fortemente popolare, ha saputo almeno parzialmente intercettare i nuovi problemi e le nuove richieste con un progressivo processo di apertura e di democratizzazione, unito ad una politica economica di sviluppo continuo e sostenuto. Per questo motivo il Marocco, che pure non era rimasto immune da attentati ed episodi di violenza, è stato solo sfiorato dalla grande rivoluzione araba.
Diverso è il caso dell’Algeria, dove le possibili rivolte popolari si sono arrestate davanti al ricordo della tragica guerra civile che, in anni ancora vicini, ha provocato centomila morti, insanguinando per un decennio tutto il Paese. L’Algeria non voleva correre il rischio di ripetere quelle tragiche esperienze.
Esaminiamo ora i tre grandi Paesi nei quali la Primavera Araba è esplosa, cioè Egitto, Libia e Tunisia.
L’Egitto, la Nazione più importate e popolosa, ha prima violentemente deposto Moubarak e, dopo tensioni senza fine, ha scelto con larga maggioranza un governo retto dai Fratelli Mussulmani. La rivoluzione sembrava quindi un fatto compiuto ma il nuovo presidente, con le sue decisioni illiberali, con lo stravolgimento della Costituzione, con la tolleranza nei confronti di ripetuti episodi di violenza e con una disastrosa gestione dell’economia, è riuscito nell’impossibile obiettivo di compattare tutte le opposizioni contro se stesso. E’ quindi tornato al potere un militare che, proprio in conseguenza della drammatica situazione in cui si è trovato il Paese, è stato definito “il Presidente di necessità”, cioè il presidente che deve portare l’Egitto fuori dalla crisi economica e dal caos politico. Il nuovo Presidente Abdel al-Sissi lo sta facendo con estrema sistematicità e durezza. L’Egitto si va quindi “normalizzando”: è di nuovo nelle mani dell’esercito che lo controlla in ogni suo aspetto. L’economia sembra riprendere il suo cammino ma il paese non può certo chiamarsi pacificato.
Ancora peggiore è la situazione libica, dove non esiste più un’effettiva autorità di governo, le milizie irregolari sono padrone del territorio, la produzione di petrolio è crollata e il traffico delle armi destabilizza non solo la Libia ma anche gli sterminati territori che stanno a Sud del Sahara. Gli immensi arsenali di Gheddafi, rimasti senza custodia, alimentano il terrorismo politico e la criminalità comune in tutta la fascia del Sahel, con pericolose aree di influenza in Egitto ed in Tunisia.
Se la Primavera Araba doveva essere un progresso verso la democrazia questo è avvenuto solo nel Paese dove la rivoluzione stessa era cominciata, cioè la Tunisia: un paese socialmente più omogeneo, con un migliore livello di istruzione e un elevato accesso alla proprietà dell’abitazione. Non che le cose procedano del tutto tranquille, perché la frammentazione politica e la durezza delle lotte fra i vari partiti lascia sempre col fiato sospeso. Il Paese appare tuttavia pacificato, il turismo in ripresa, mentre vi sono tutti gli elementi per credere che, dopo l’avvenuta approvazione della nuova costituzione, si svolgeranno regolari elezioni politiche e presidenziali entro la fine dell’anno.
Non crescono solo rose e fiori in Tunisia ma le prospettive di una progressiva affermazione di una pur complicata democrazia sono concrete. Questa è la realtà della sponda sud del Mediterraneo che sta di fronte a noi. Non vi è motivo di essere contenti: dopo tre anni viviamo in un quadro più inquieto ed insicuro di prima. Di aria di primavera se ne respira ben poca.
E’ necessario tuttavia ammettere che noi occidentali, noi europei e noi italiani non abbiamo dato proprio nessun aiuto né politico né economico per favorire una soluzione migliore. Inserendosi in una guerra insensata e contro il suo interesse l’Italia ha inoltre contribuito a destabilizzare il Paese a noi più prossimo per legami politici ed economici, seguendo le decisioni di Francia e Gran Bretagna, che avevano obiettivi ben diversi dai nostri e una conoscenza della Libia infinitamente inferiore.
Con una politica più attenta avremmo almeno potuto avere una primavera con qualche rosa in più e con molte spine in meno.