Ucraina: più si avvicina la pace, più i falchi diventano aggressivi
In Ucraina c’è la tregua, ma la pace è lontana
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 marzo 2015
È passato un mese dal faticoso accordo sull’Ucraina firmato a Minsk fra Putin da un lato e la Merkel e Hollande dall’altro. Un accordo che prevede una tregua progressiva, con clausole di ritiro degli armamenti pesanti e interventi umanitari indirizzati ad alleviare le conseguenze di un conflitto che ha già sparso abbastanza sangue.
A un mese di distanza possiamo constatare che l’accordo tutto sommato tiene. Non perché sia scoppiata la pace, ma perché entrambi i contendenti sono esausti e timorosi per il futuro.
Da parte Ucraina la debolezza militare è apparsa crescente, mentre l’economia è totalmente al collasso. Il Paese, già martoriato da una crisi senza fine, vede un ulteriore crollo del proprio reddito nazionale mentre il bilancio dello stato ha potuto evitare l’immediata bancarotta solo dopo un pesante intervento del Fondo Monetario Internazionale. Il Paese è esausto per le tragedie degli ultimi decenni e per la devastazione operata dai successivi governi, sempre dominati dagli oligarchi. Quando si è dissolta l’Unione Sovietica il reddito pro-capite ucraino era superiore a quello polacco, mentre oggi è meno di un terzo di quello della Polonia e gli oligarchi ucraini sono diventati sempre più ricchi. Basti pensare che, pur con questa enorme differenza di reddito, il cittadino polacco col reddito più elevato si troverebbe solo ottavo nella classifica tra i più ricchi ucraini.
La tregua appariva necessaria anche per la Russia, in pesante difficoltà sia per effetto della diminuzione del prezzo del petrolio che per il crescente peso delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Da parte russa non vi era quindi interesse ad alzare il livello del conflitto fino al punto in cui esso poteva uscire da ogni forma di controllo, anche perché è obiettivo russo fare diminuire il livello delle sanzioni e, nello stesso tempo, fare dimenticare alla comunità internazionale l’annessione della Crimea.
Si tratta quindi di una tregua che, almeno nel prossimo futuro, ha tutti gli elementi per essere rispettata ma che è ancora ben lontana da trasformarsi in una vera pace.
Da parte occidentale, infatti, si pretendono garanzie riguardo alla sicurezza e all’integrità territoriale dell’Ucraina (con o senza la Crimea?) mentre, da parte russa, l’obiettivo minimo è l’ autonomia delle provincie russofone, accompagnata da un’ opposizione radicale all’ipotesi che l’Ucraina possa diventare membro della NATO.
Il cammino verso un accordo non è quindi né facile né vicino, anche perché i Paesi europei, pur avendo tutti accettato la tregua di Minsk, non nutrono gli stessi sentimenti nei confronti della Russia: dall’irriducibile avversità di Polonia e dei Paesi baltici si passa a posizioni progressivamente meno drastiche di Francia, Germania e Italia, fino a politiche di sempre maggiore vicinanza alla Russia da parte di Grecia e Ungheria.
La tregua, tuttavia, offre almeno il tempo per cercare un compromesso possibile, con garanzie internazionali alla sicurezza e all’indipendenza dell’Ucraina anche senza l’allargamento della NATO, a cui Francia, Italia e Germania si erano già opposte nel 2008, e con aiuti finanziari volti a evitare la bancarotta del Paese. Un fallimento che non danneggerebbe solo l’Unione Europea ma anche la Russia, che è il maggiore creditore del governo ucraino.
Negli ultimi giorni, comunque, si é inaspettatamente aperto un fronte che sembra creare tensioni fortissime non all’interno dell’Unione Europea ma fra gli Stati Uniti e la Germania, che è stata l’attiva protagonista degli accordi di Minsk.
L’autorevole settimanale tedesco Spiegel accusa il generale Breedlove, comandante supremo della NATO in Europa e, soprattutto, il vice segretario di Stato americano incaricato per gli affari europei Victoria Nuland, di boicottare il processo di pace di Minsk allo scopo di riattivare il conflitto con un esercito ucraino più efficiente perché armato ed istruito dagli Stati Uniti. I dati forniti dal responsabile della NATO sul dispiegamento delle truppe russe sarebbero stati volutamente esagerati, mentre le accuse della Nuland non solo risulterebbero offensive nei confronti della politica europea ma addirittura derisorie nei confronti dell’Europa stessa. La pressione su Obama sarebbe così forte che, se la tregua non tenesse, gli sarebbe molto difficile continuare a rifiutare l’invio di “armi difensive” all’esercito ucraino, provocando un’analoga reazione da parte russa e, di conseguenza, un drammatico aggravamento della crisi.
Le note dello Spiegel sono piene di particolari pesanti sulle dichiarazioni di questi “superfalchi” americani e sul fatto che essi, sostenuti da molti parlamentari sia repubblicani che democratici, stanno esercitando una crescente pressione su Obama perché abbandoni il suo appoggio alla posizione dialogante della cancelliera tedesca. L’articolo dello Spiegel è redatto con dovizie di particolari e con il non nascosto messaggio che le informazione e i giudizi in esso contenuti provengono dalla stessa cancelleria tedesca.
Queste tensioni fra la Germania (che a Minsk ha finito col rappresentare l’intera Europa) e gli Stati Uniti non si sono ancora tradotte in una diversa linea politica anche perché il presidente Obama è ancora saldamente in sella e non rappresenta la linea espressa dai suoi presunti rappresentanti, ma questa diversità non può non avere influenze negative sui comportamenti dei governanti russi ed ucraini, rendendo in tal modo più difficili le future trattative.
Bisogna quindi essere molto attenti ed attivi nella ricerca di un necessario compromesso, di cui l’accordo di Minsk costituisce il primo passo.
L’unico fatto consolante di questa sconsolante vicenda è che queste dichiarazioni e questi comportamenti volti a rialzare il livello di tensione non si sarebbero mai verificati se non fossimo finalmente arrivati vicini a un possibile compromesso. È noto infatti che più la pace è a portata di mano, più i falchi diventano aggressivi.