Una strategia globale contro il terrorismo globale: colpire le fonti di finanziamento e non le città
Dalla Francia al Mali – Il terrorismo globale non si debella con i militari
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 novembre 2015
Nell’ultimo mese la minaccia terroristica ha cambiato di forza e intensità. Abbiamo avuto 43 morti in Libano (di cui nessuno ha fatto parola) e poi le 224 vittime dell’aereo russo nel Sinai, quindi le 130 persone uccise nelle stragi di Parigi ed infine i 27 morti nell’assalto all’hotel Radisson Blu della capitale del Mali.
Un’offensiva su larga scala che, colpendo in modo indiscriminato gente comune ha grandemente innalzato il livello di paura e di insicurezza di tutti noi. Il terrorismo ha quindi raggiunto il suo primo obiettivo, che è quello di seminare terrore.
Gli ultimi due attentati hanno tuttavia ottenuto un secondo obiettivo, che è quello di dimostrare che gli attentatori possono agire contemporaneamente in più parti del mondo. Non è stato fino ad ora dimostrato che vi sia stato un coordinamento fra Bamako e Parigi e probabilmente non vi è stata una regia unica ma è altrettanto chiaro che questa così stretta sequenza di eventi dimostra l’esistenza di una pluralità di nuclei armati pronti ad azioni che, prodotte in ravvicinata sequenza, moltiplicano l’allarme nei confronti del più largo numero di persone.
Vi è un ulteriore elemento da prendere in considerazione: sia gli attentati di Parigi che quelli di Bamako sono entrambi diretti contro la Francia. Se non una regia unica vi è comunque un intento unico perché a Bamako tutto è francese. Non solo la lingua, non solo l’organizzazione scolastica e i riferimenti culturali, non solo le strutture minerarie e produttive, ma tutti i servizi di pubblica utilità sono fortemente influenzati da uno stretto antico legame con la Francia. Colpire il Mali è colpire la Francia.
A questo si aggiunge che l’organizzazione di un attentato è relativamente facile in Mali dove, nonostante la firma di accordi di pace, la parte nord del Paese è controllata dallo stato centrale solo (e non completamente) nei centri urbani di Timbuktu, Gao e Kidal, mentre le aree del deserto rimangono nelle mani delle bande terroristiche.
Per di più il Mali è pieno di armi di tutti i tipi e di tutti i generi.
Quando, con la guerra libica i militari di Gheddafi, figli del deserto, sono rimasti senza risorse da inviare alle proprie famiglie hanno fatto quello che hanno sempre fatto i mercenari lasciati soli: si sono impadroniti di quello che c’era. Le uniche cose di valore erano le armi degli arsenali tra i più forniti del mondo.
Nel periodo in cui sono stato inviato dell’ONU a Bamako i funzionari parlavano di alcuni milioni di Kalashnikov trafugati dagli arsenali libici. Non posso assicurare che questi numeri corrispondessero a verità. Quello che posso testimoniare è che si parlava ogni giorno del prezzo dei Kalashnikov con la naturalità con cui si parla del prezzo del pane o di un telefono portatile.
Il Mali è inoltre oggetto di una particolare attenzione da parte del terrorismo perché si trova nella morsa di due forze eversive: a Nord da parte di molteplici bande, alle quali si deve l’attacco del Radisson e a sud da parte dei seguaci di Boko Haram che operano principalmente in Nigeria ma commettono razzie in tutti i paesi del Sahel.
Anche in questo caso non vi è una regia unica ma vi è un sentimento unico ed un obiettivo unico: usare il radicalismo islamico contro tutto ciò che ad esso resiste.
Se quindi il terrorismo, agendo diviso per colpire unito, si sta globalizzando, deve essere affrontato da una strategia globale che, riunendo le forze delle grandi potenze, non permetta più l’intollerabile doppio gioco di paesi che nelle posizioni ufficiali si presentano come fedeli alleati della legalità ma poi permettono che larghe, potenti e riconosciute componenti dei propri paesi sostengano i terroristi nel nome della presunta purezza di una dottrina radicale ed intransigente. Più che sotto l’aspetto militare la grande alleanza contro il terrorismo deve tenere a freno l’aiuto che ad esso viene dato da tanti paesi del Golfo e del Medio Oriente in conseguenza di interessi locali e della millenaria battaglia fra sciti e sunniti.
Quando si deve combattere un nemico mobile ed evanescente, le armi servono solo se supportano in modo coerente gli obiettivi decisi in sede politica. Non è perciò facile comprendere perché i bombardamenti di questi giorni vengano concentrati nelle aree urbane (dove pure si annidano molti terroristi) e non contro le decine di pozzi che forniscono risorse finanziarie all’ISIS, pozzi che sono a tutti noti e perfettamente individuati. Vedremo perciò fra pochissimi giorni se gli incontri fra Putin, Obama, Hollande e Rohani riusciranno a costruire questa nuova necessaria strategia.
Questo per affrontare i tragici problemi di oggi. Per costruire in modo definitivo un tollerabile clima di convivenza nel nostro pianeta occorre tuttavia fare un altro passo in avanti e riconoscere che, in tempi di globalizzazione, il futuro dell’umanità può essere garantito solo da un reciproco riconoscimento tra tutte le religioni.
La convivenza e il riconoscimento reciproco tra le diverse famiglie cristiane ha potuto preparare la pace in Europa. Solo la convivenza e il riconoscimento reciproco fra tutte le religioni potrà preparare la pace nel mondo.
Speciale Ballarò del 20 Nov 2015 – Mali e Terrorismo from Romano Prodi on Vimeo.