Un’Europa forte con un “anello di Paesi amici” come Gran Bretagna, Ucraina e Turchia
Un’Europa unita e forte con un «anello di paesi amici» come la Gran Bretagna
Il nuovo, e per molti versi originale, rapporto con il Regno Unito potrebbe diventare il modello per una tela ben più vasta, tessuta per legare l’Ue con i paesi che le stanno più vicini
Articolo di Ricardo Franco Levi e Romano Prodi su Il Corriere della Sera del 11 settembre 2016
Caro direttore, tra pochi giorni si terrà a Bratislava una riunione del Consiglio Europeo. Tra tutti i documenti nelle loro cartelle, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese François Hollande, il nostro presidente del Consiglio Matteo Renzi e gli altri capi di Stato e di governo farebbero bene a sceglierne uno in particolare: quello dedicato alla Brexit. Il modo in cui la perdita di uno Stato membro come la Gran Bretagna sarà governato, può essere il filo giusto da tirare per sbrogliare la grande ed intricata matassa dell’Europa, il chiodo al quale attaccare la corda nella difficile scalata verso un’Unione Europa più forte, più semplice, più comprensibile e vicina ai propri cittadini. Perché immaginare e poi dare corpo a un nuovo e diverso rapporto con il Regno Unito non si può fare — così come non si può coniare una nuova moneta disegnandone solo una e non entrambe le facce — se, nel contempo, non si chiarisce quali debbano essere il volto, la natura, la struttura dell’Unione Europea e quali relazioni la debbano legare agli altri paesi del mondo, a partire da quelli ad essa più vicini.
Anni fa (v. Romano Prodi, L’Europa è più grande: una politica di vicinato come chiave di stabilità, intervento alla sesta Conferenza Mondiale Ecsa-Progetto Jean Monnet, Bruxelles, 5-6 dicembre 2002), forse anticipando i tempi, avevamo parlato di un «anello di paesi amici». Guardavamo oltre l’allargamento, ad un’Unione che avesse già finito di raccogliere sotto il proprio mantello i paesi dell’Europa orientale, i paesi baltici e i Balcani per riunificare, per la prima volta nella storia, il continente, e cercavamo di indicare la via per una più sicura stabilizzazione degli equilibri internazionali, per una possibile condivisione di una maggiore prosperità nel grande spazio che ci sta attorno, al di là dei «confini» dell’Europa. «Condividere tutto, meno le istituzioni»: questa era la formula, necessariamente sintetica, alla quale eravamo ricorsi per dare un’idea del possibile, concreto contenuto del futuro legame tra l’Unione Europea e i suoi vicini più prossimi.
E’ significativo — e non privo di qualche elemento di personale soddisfazione — che, nel presentare, sotto le insegne di Bruegel, l’influente centro studi di Bruxelles, il primo, organico e dettagliato progetto sul possibile futuro delle relazioni tra Ue e Regno Unito (Europe after Brexit: A Proposal for a Continental Partnership), alcuni tra i maggiori esperti di affari europei (Jean Pisani-Ferry, Norbert Röttgen, André Sapir, Paul Tucker, Guntram B. Wolff), abbiano preso come primo punto di riferimento proprio il concetto dell’«anello degli amici». Il nuovo, e per molti versi originale, rapporto tra Unione Europea e Regno Unito potrebbe diventare il modello — essi scrivono — per una tela ben più vasta, tessuta per legare l’Europa con i paesi che le stanno più vicini: dall’Ucraina (che potrebbe vivere così con maggiore sicurezza nella sua non comoda posizione di «cuscinetto» tra Europa e Russia) alla Turchia (che in questa nuova dimensione potrebbe trovare un’alternativa al sempre più improbabile ingresso a pieno titolo nell’Unione Europea) e, in tempi più lunghi, ad un ben più ampio arco di paesi che potrebbe arrivare ad estendersi sino alla sponda meridionale del Mediterraneo.
Il progetto di Pisani-Ferry, di Sapir e degli altri studiosi è troppo dettagliato per essere qui riportato per esteso. I suoi punti essenziali meritano, però, di essere esposti e sono i seguenti.
- Né all’Unione Europea né al Regno Unito conviene un divorzio che diminuisca la loro capacità di influire sulle cose del mondo in un’epoca già contrassegnata dallo spostamento degli equilibri economici e geo-politici verso l’Oriente e la Cina.
- Riconosciuto il reciproco interesse a conservare una fruttuosa collaborazione ma acquisito come un dato di fatto non modificabile l’esito del referendum britannico, Unione Europea e Regno Unito potrebbero e dovrebbero stabilire tra loro una relazione di tipo nuovo, meno profonda di una partecipazione piena all’Unione ma più stretta di un semplice rapporto di libero scambio.
- Al Regno Unito sarebbe concesso di continuare ad essere parte del mercato unico europeo rispettando, però, pienamente solo le tre liberta di movimento dei beni, dei servizi, dei capitali, le uniche considerate indispensabili per il funzionamento di un mercato integrato. La quarta libertà, quella che attiene al libero movimento delle persone — un «di più» che corrisponde alla natura dell’Unione Europea come progetto autenticamente e profondamente politico — sarebbe sostituita da una più limitata e concordata mobilità dei lavoratori in funzione delle esigenze delle imprese e delle economie.
- Per gestire le relazioni tra Ue e Regno Unito (e, in prospettiva, quelle con altri paesi interessati) si darebbe vita a una nuova istituzione, una Partnership Continentale (Pc) alla quale parteciperebbero il Regno Unito, i paesi membri dell’Unione e le istituzioni dell’Unione.
- Le leggi sul mercato unico, al quale il Regno Unito continuerebbe a partecipare, continuerebbero ad essere adottate con le attuali procedure della UE. Esse sarebbero, tuttavia, preliminarmente sottoposte ad un esame della PC i cui membri avrebbero il diritto di proporre emendamenti.
Che dire di questo progetto? Difficile condividere la sostanziale asimmetria a favore del Regno Unito che emerge dalle possibilità ad esso concesse di respingere la piena libertà di movimento dei lavoratori, di continuare ciononostante a partecipare senza limitazioni al mercato unico e di potere influire sulla legislazione europea senza che un parallelo «diritto di ingerenza» sia riconosciuto all’Unione.
Altrettanto insoddisfacente è l’impianto dichiaratamente intergovernativo: un cedimento al sentire dei tempi favorevole ad un ritorno alle sovranità nazionali in una stagione nella quale si fa, invece, sempre più chiara la percezione che, affidata al solo negoziato e, di riflesso, all’equilibrio dei poteri tra gli Stati, l’azione europea resta lontanissima dal grado di efficacia necessario per fare la differenza, che si tratti di economia, di ambiente, di immigrazione, di ricerca, di energia… Desta, infine, qualche perplessità la complessità del disegno della Partnership Continentale, forse inevitabile data la diversità dei soggetti coinvolti, ma certamente assai lontana da quella semplicità che appare sempre più necessaria per raccogliere un rinnovato consenso attorno al progetto dell’Europa unita.
Resta il nocciolo – questo sì pienamente condivisibile – della proposta: il progetto di un’Europa unita e forte con attorno a sé una cerchia di paesi, un «anello di amici» per l’appunto, con i quali condividere una relazione speciale. In questa direzione Pisani-Ferry, Sapir e i loro compagni invitano a lavorare, approfittando della Brexit come dell’occasione per muovere il primo passo. E non dovrebbe essere d’ostacolo il constatare che, almeno per il prossimo futuro, l’Unione Europea potrà apparire essa stessa composta da un nucleo più ristretto e sempre più compatto dei paesi dell’euro accanto al quale resteranno gli altri Stati membri più gelosi delle loro sovranità nazionali. Offerto con felice scelta di tempo alla vigilia del Consiglio Europeo di Bratislava che rischia di risultare assai povero di contenuti concreti, quello di Pisani-Ferry, di Sapir e degli altri esperti, è un contributo importante che merita la più approfondita riflessione.