Urgente un coordinamento europeo per lo sviluppo africano o una migrazione biblica ci travolgerà
Salvagente per l’Africa o l’emigrazione ci travolgerà
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 6 aprile 2014
Non sono riuscito a capire come sia stata calcolata la cifra dei trecento o dei seicentomila emigranti africani che nel prossimo futuro invaderanno l’Europa, ma è almeno positivo che queste cupe previsioni, pur con i loro grandi margini di errore, ci obblighino a pensare all’Africa, ai suoi problemi e alle sue opportunità.
Si parla giustamente di una nuova fase di sviluppo africano ed è vero. I tassi di crescita sono diversi dal passato e, da quasi dieci anni, si naviga costantemente a livelli superiori al cinque per cento all’anno. Non solo questo avviene nei paesi esportatori di petrolio e materie prime ma anche nella maggioranza dei paesi che, come l’Etiopia, non ne producono proprio. Tutto questo ci offre qualche speranza per il futuro ma non ci si deve dimenticare che il continente africano rimane oggi disperatamente povero, più povero di qualsiasi altra parte del mondo. Non voglio inondare i lettori di dati ma mi limito semplicemente a ricordare che, nonostante le buone notizie degli ultimi anni, il continente africano ha oggi la stessa percentuale di Prodotto lordo Mondiale che aveva nel 1980.
Se è quindi corretto di parlare di una nuova fermentazione, di nuove speranze e di nuove classi sociali che hanno iniziato il cambiamento dell’Africa, mi sembra tuttavia prematuro parlare di rinascimento, anche se possiamo cominciare a sperare che questo avvenga in futuro.
A questo futuro noi italiani non ci stiamo tuttavia preparando né dal punto di vista politico né da quello economico.
Per essere più precisi siamo certo presenti nell’Africa mediterranea, tanto è vero che siamo i primi o tra i primi nei rapporti commerciali con tutti i paesi del Mediterraneo. Quando invece scendiamo al di sotto del Sahara la nostra presenza diventa quasi invisibile.
I mezzi finanziari della Cooperazione si sono assottigliati così come le nostre rappresentanze diplomatiche, mentre le nostre imprese, esclusa ovviamente l’ENI, hanno un ruolo solo sporadico. La presenza italiana si materializza attraverso i religiosi e le ONG, che svolgono un’ opera straordinariamente meritoria ma che non possono certamente influire sui grandi orientamenti politici ed economici dell’Africa.
In questa prima riflessione sul continente africano ho voluto distinguere fra la parte mediterranea e quella sub-sahariana non solo perché il grande deserto le divide materialmente ma perché le due regioni stanno prendendo direzioni completamente diverse e inaspettate.
Le ultime ricerche demografiche mettono in luce un dualismo impressionante. Il tasso di fertilità di Egitto,Tunisia e Marocco è passato, in poco più di una generazione, da oltre il 6% a una cifra intorno al 2% mentre in Algeria siamo ormai intorno all’1,70%.
Sono percentuali identiche a quelle dei paesi scandinavi e non molto superiori alle nostre. Se, dopo le tensioni della primavera araba, lo sviluppo riprenderà, la loro spinta migratoria si andrà progressivamente annullando nello spazio di una generazione.
A sud del grande deserto la situazione è del tutto opposta: il ritmo di crescita della popolazione è addirittura in forte aumento perché la fertilità non diminuisce mentre sta calando la mortalità, sopratutto quella infantile.
Di conseguenza la popolazione del Niger, del Mali e degli altri paesi del Sahel raddoppierà in vent’anni e non più in venticinque, come si prevedeva fino a pochi anni fa. Per fare capire con ancora maggiore efficacia che cosa sta succedendo basti pensare che, mentre l’età mediana (cioè l’età che divide la popolazione di un paese in due parti numericamente uguali) è in Italia di 45 anni, nei paesi del Sahel è intorno ai 17. Metà della popolazione ha cioè meno di 17 anni.
Se il ritmo di crescita economica non aumenterà e non perdurerà nel tempo non vi è quindi speranza che queste giovani generazioni trovino sostentamento nelle loro terre d’origine, mentre la globalizzazione delle informazioni e delle comunicazioni le rende infinitamente più pronte ad emigrare.
Non so quindi quante centinaia di migliaia di africani premeranno alle nostre frontiere ma so certo che, mentre la tradizionale migrazione dal Marocco e dall’Egitto avrà probabilmente un’ evoluzione gestibile, questa migrazione biblica dal Sud del Sahara potrà essere governata solo con un aumento dello sviluppo locale e con un’azione coordinata fra tutti i paesi europei.
Questi paesi non sono infatti in grado di affrontare da soli il loro futuro. Lo si è visto nei giorni scorsi quando a Bologna si sono riuniti, insieme alla Presidenza dell’Unione Africana, tutti i Presidenti o capi di Governo dei paesi rivieraschi dell’enorme lago Ciad, che si è ridotto a un decimo della sua primitiva superficie e che, senza massicci interventi, è destinato a scomparire, portando ulteriore miseria e tanti nuovi emigranti tra i trenta milioni di persone che vivono nel suo bacino. Ipotesi e possibilità di soluzione ne sono emerse tante, adesso bisognerà darne concreta attuazione. Si farà tutto il possibile perché ciò avvenga in futuro ma se le tante azioni da realizzare in questa direzione non saranno presto messe in atto non ci resterà che contare il numero dei disperati che busseranno alla nostra porta.