Perché argomenti che potrebbero essere risolti in condivisione e serenità devono sempre finire in rissa?
Domenica 26 maggio i bolognesi saranno chiamati a partecipare con un referendum a rispondere al seguente quesito:
“Quale fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole d’infanzia paritarie a gestione privata ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia?
a) utilizzarle per le scuole comunali e statali;
b) utilizzarle per le scuole paritarie private”
Se, come spero, riuscirò a tornare in tempo da Addis Abeba, domenica prossima voterò sui quesiti riguardanti le scuole dell’infanzia e voterò l’opzione B.
Dico subito che, a mio parere, il referendum si doveva evitare perché apre in modo improprio un dibattito che va oltre i ristretti limiti del quesito stesso.
Tuttavia il mio voto è motivato da una semplice ragione di buon senso: perchè bocciare un accordo che ha funzionato bene per tantissimi anni e che, tutto sommato, ha permesso , con un modesto impiego di mezzi, di ampliare almeno un po’ il numero dei bambini ammessi alla scuola dell’infanzia e ha impedito dannose contrapposizioni? Ritengo che sia un accordo di interesse generale.
La motivazione più forte di chi vota l’opzione A è che i mezzi forniti alla scuola statale e comunale siano così scarsi che le casse comunali non possono allargare il loro impegno al di fuori del loro stretto ambito.
Credo tuttavia che le restrizioni che oggi drammaticamente limitano l’azione del Comune (per cui non tutti coloro che vogliono mandare i figli alle scuole statali e comunali possono farlo) e in generale penalizzano la scuola siano dovute a una errata gerarchia nella soluzione dei problemi del Paese e non ad accordi di questo tipo.
Vorrei inoltre concludere chiedendomi perché argomenti che potrebbero essere risolti in condivisione e serenità debbano sempre finire in rissa.
Ma questo è un altro discorso.
Romano Prodi