La missione impossibile di Giorgio La Pira: fermare la guerra del Vietnam
Cinquant’anni dalla guerra del Vietnam
La Pira, profeta di pace
Articolo di Romano Prodi su L’Unità del 23 gennaio 2016
Prefazione dell’ex premier Romano Prodi al libro “Con la Pira in Viet Nam” (Edizioni Polistampa, 334 p., 18 euro): qui Mario Primicerio, sindaco di Firenze dal 1995 al 1999, professore di meccanica razionale e accademico dei Lincei, ha pubblicato il diario dei giorni in cui, nel 1965, accompagnò l’allora primo cittadino di Firenze nel viaggio fino ad Hanoi passando, tra altre tappe, per Mosca.
Sono passati cinquant’anni dalla guerra del Vietnam e, nonostante la grande vitalità e il dinamismo che si respira oggi nelle strade brulicanti di Hanoi e Saigon, le ferite che quel conflitto ha provocato non si sono ancora totalmente rimarginate. troppo a lungo è durato, troppo grandi sono state le perdite umane e materiali e troppo profonda è stata la frattura che la guerra del Vietnam ha creato nella politica mondiale. Una frattura che non solo ha diviso fra di loro paesi e continenti ma che è penetrata profondamente all’interno sia dei paesi protagonisti di quella guerra, come gli stati Uniti, che dei paesi che ne sono stati testimoni -partecipanti come le democrazie europee.
Il conflitto vietnamita è infatti entrato nella lotta politica quotidiana di tutti i paesi occidentali e la sua interpretazione è rimasta per molti anni elemento di divisione fra falchi e colombe, fra coloro che speravano in un progresso universalistico della politica mondiale e coloro che si fondavano invece esclusivamente sulla forza delle armi e del potere economico.
La memoria così profonda e viva del conflitto vietnamita non deriva quindi soltanto dal ricordo delle sue tragiche conseguenze ma anche dal solco che ha prodotto all’interno della vita politica dei paesi democratici. Queste memorie di Primicerio sulla mediazione di La Pira per aiutare il raggiungimento della pace in Vietnam mettono in luce tutti questi temi e analizzano, in modo rigorosamente documentato, tanto il lungo e difficile processo di mediazione del sindaco di Firenze quanto la strumentalizzazione che ne venne fatta all’interno della politica italiana.
Certamente l’ iniziativa di La Pira è del tutto particolare, perché sempre ed in ogni momento essa è guidata da una fede religiosa incrollabile e dalla convinzione che questa fede sia lo strumento non solo per muovere le montagne ma anche per porre fine alle guerre.
Era però, come egli stesso ebbe a dichiarare, non il frutto di un’improvvisazione ma di una lunga preparazione. Da anni infatti La Pira aveva organizzato a Firenze i Convegni della pace e della Civiltà cristiana, i colloqui del Mediterraneo e la riunione dei sindaci delle principali capitali del mondo.
Questi incontri non erano stati soltanto un inno alla pace ma anche uno strumento con cui La Pira era entrato in contatto con selezionati protagonisti del mondo culturale e politico di tutto il pianeta. in quattordici anni egli si era infatti costruito una rete di conoscenze e di rapporti che si estendevano non solo nel mondo occidentale ma anche in molti paesi del mondo in via di decolonizzazione e nelle nazioni appartenenti al patto di Varsavia.
Quindi non solo una fede profonda (così profonda da essere interpretata come ingenuità) nelle fondamenta universalistiche della natura umana, ma anche un patrimonio di conoscenze e di rapporti che lo avevano reso conosciuto e stimato nel mondo intero.
Su queste basi si fonda la sua ferrea determinazione di andare ad Hanoi per tentare, contro ogni speranza, un’ iniziativa di pace per una guerra che sconvolgeva il mondo.
Già le difficoltà in cui si svolge il viaggio dimostrano la straordinarietà di questa iniziativa che riesce ad arrivare ad un colloquio a cui nessuno era riuscito ad arrivare. Tutto questo proprio e solo per l’ autorità morale di La Pira, che arriva ad Hanoi con mezzi ridicolmente scarsi e con appoggi estremamente limitati.
Eppure la documentazione che ci è presentata dimostra che, nonostante questi limiti, il colloquio con Ho Chi Minh e con le altre massime autorità vietnamite, tratta in modo diretto ed esauriente i passaggi e le condizioni che possono portare alla pace e ne traccia il possibile cammino. Il contenuto, le interpretazioni e le strumentalizzazioni di questo colloquio costruiscono evidentemente il cuore di questo libro.
Le prove di una possibile apertura di negoziati con condizioni accettabili da entrambe le parti appaiono fortemente supportate dalla documentazione presentata nelle pagine di Primicerio, anche se nessuno può naturalmente provare che queste posizioni sarebbero state mantenute con coerenza e sarebbero state poi seguite da azioni concrete.
Quello che è certo è che parte subito un’ offensiva da parte dei “falchi” americani volta ad annullare il contenuto ed il peso di questi colloqui. Gli strumenti con i quali questo processo di demolizione è portato avanti sono in fondo quelli tradizionali: fughe di notizie e illazioni sui contenuti e sulle possibili conseguenze negative di questi colloqui nei confronti della politica degli stati Uniti e dell’esito stesso della guerra.
Ho parlato di “falchi” perché la politica americana non è certo compatta nel tentare di marginalizzare i tentativi di pace, a partire da quello di La Pira. Lo testimonia non solo il lungo e corposo carteggio con Peter Weiss ma anche la posizione di apertura tenuta dai più stretti collaboratori del defunto presidente Kennedy, a partire dal suo fratello Robert.
La documentazione presentata da Primicerio ci dimostra ampiamente come la missione di La Pira non sia frutto di un irenismo astratto, come si è tentato di farla passare in molti dei media di allora, ma si sia fondata su autorevoli sponde anche all’ interno degli stati Uniti. il problema è che quelle sponde erano certamente autorevoli ma in quel momento non abbastanza robuste da potere condizionare la politica americana.
Così come risultava autorevole ma non abbastanza forte la voce di Papa Paolo Vi, ripetutamente invocato da La Pira come potenzialmente capace di porre fine al conflitto.
In questo straordinario patrimonio di documentazioni sulla “mediazione” vietnamita non potevano naturalmente mancare le analisi e le riflessioni sulle reazioni del mondo politico italiano ad una vicenda oggetto di polemiche che si sono protratte per un lunghissimo periodo di tempo.
Nel contesto di allora, la politica italiana era ovviamente destinata a dividersi in modo radicale fra coloro che vedevano con interesse il tentativo di pace e coloro che avevano scelto di seguire in modo assolutamente acritico la chiusura che la corrente vincente americana manteneva rispetto ad ogni trattativa e ad ogni iniziativa che sfuggiva al proprio controllo.
Nel governo italiano, almeno in un primo tempo, il più vicino a La Pira era il ministro degli Esteri Fanfani, che segue e appoggia i lavori preparatori della missione e ne facilita il compimento mobilitando le rappresentanze diplomatiche italiane utili allo scopo. Una strategia che, con il passare del tempo, tende tuttavia a fare attribuire all’operato del ministro degli Esteri tutti i frutti positivi della missione.
Un cambiamento che obbliga ad una riflessione sui rapporti fra diplomazia informale e diplomazia ufficiale: quest’ultima tende sempre ad operare in esclusiva, anche se una stretta collaborazione con coloro che operano su canali informali sarebbe utile a tutti. Esaminando infatti tutte le prove documentali che il presente libro ci offre si può davvero dedurre che un appoggio forte e deciso avrebbe permesso alla diplomazia italiana di giocare un ruolo di primo piano, proprio perché i contenuti politici delle iniziative di La Pira si sono dimostrati nel tempo politicamente vincenti sia nel caso dell’Algeria che del Vietnam.
Il dibattito italiano viene invece, come è purtroppo nella natura delle cose, dominato dalla diversità degli schieramenti di politica interna, fortemente influenzati dai grandi media, quasi tutti avversi alla missione di La Pira, anche se con toni diversi fra l’ oltranzista “La nazione” di Firenze ed il più pacato “Corriere della sera”. Una distanza che si rispecchia anche nella posizione del governo, estremamente attento a non creare tensioni con il governo americano e quindi all’inizio solo prudente e successivamente visibilmente distante nei confronti dell’iniziativa di La Pira.
Chi ha vissuto quei lontani anni ricorda naturalmente l’ episodio che più ha fatto clamore per un lunghissimo periodo di tempo, cioè la vera e propria trappola tesa a La Pira da Gianna Preda, collaboratrice del periodico di estrema destra “il Borghese”.
Essa, fingendosi un’ anima in cerca della redenzione e nascondendo la propria natura di giornalista, riesce ad ottenere un lungo colloquio alla presenza esclusiva di La Pira e della moglie del ministro degli Esteri Fanfani, proprio nella stessa casa del ministro degli Esteri. Ne esce un articolo pieno di dichiarazioni forzate e di indiscrezioni che mette in estrema difficoltà tanto il professore di Firenze quanto lo stesso Fanfani, che viene immediatamente spinto a rassegnare le dimissioni da ministro degli Esteri.
Non vi poteva essere un incidente più adatto per cercare di screditare tutto l’ operato di La Pira, mettendo esclusivamente in luce la sua ingenuità e cancellando completamente i contenuti politici della sua proposta e i concreti contributi di pace che essa avrebbe potuto apportare se, dopo i colloqui di Hanoi, si fosse prestato attenzione alle potenziali aperture che essi offrivano e se non si fosse invece seguita la via opposta, di intensificare i bombardamenti, colpendo con una impressionante “escalation” gli obiettivi vitali del Vietnam del nord, a partire dalla sua più importante centrale elettrica.
La Pira politico concreto In quest’atmosfera si radica nell’opinione pubblica italiana l’ idea di un La Pira personalmente virtuoso e al di sopra di ogni interesse personale ma sostanzialmente ingenuo e incapace di proposte politiche credibili e realistiche. Indubbiamente le lettere di La Pira, i suoi modi di preparare le sue missioni (nelle quali confida più nel Cielo che nella terra) potrebbero anche avallare questa tesi se gli avvenimenti successivi tanto delle vicende algerine che di quelle vietnamite non avessero confermato la validità delle intuizioni del sindaco di Firenze.
La lettura dei copiosi documenti di questo libro ci mostra cioè che La Pira costruiva ponti e proponeva soluzioni che poi la storia successiva ha dimostrato essere valide e concrete proposte di pace. Certo tutto questo veniva messo in atto in modo non facile da comprendere e certamente “diverso” rispetto ai moduli usati dai grandi della terra con i quali interloquiva,
Per questo motivo nei confronti di La Pira è usato il termine di “profeta”, con il sottinteso che questo termine diminuisse la valenza politica. le pagine di questo libro ci obbligano invece a concludere che si trattava di “profezia” nella forma ma di “politica” nella sostanza. Non ci dobbiamo tuttavia sorprendere che nel giudizio comune la forma abbia prevalso sulla sostanza: questa è infatti la caratteristica del mondo in cui viviamo.