La scienza di Vito e l’arte di mangiar bene nei ricordi di casa Prodi
Prefazione di Romano Prodi al libro “E’ pronto in tavola – le mie ricette” di Vito (Stefano Bicocchi)
Quando qualcuno scrive di ricette della propria famiglia vengo inevitabilmente preso da un senso di diffidenza. Sarà perché i vecchi quaderni di cucina che hanno girato in casa nostra sono pieni di “quanto basta”, “un pizzico” “fino a raggiungere la giusta consistenza”. Aggiungo poi che mia suocera, attuale depositaria della storia culinaria della famiglia, usa ripetere che o uno ha il “sover man” (che deve essere un misto tra il reggiano e il francese) cioè “la mano” o è meglio lasciar perdere. Insomma tutto pareva affidato all’estro, anche se era c’era una diffusa cultura comune, fondata su pochi testi, come l’Artusi, il talismano della felicità e la rivista Cucina Italiana.
Sono quindi rimasto sorpreso e un po’ spiazzato quando Vito mi ha dolcemente richiesto di scrivere due righe di premessa al suo libro che non solo ci presenta ricette di famiglia ma vi aggiunge proprie originali elaborazioni. Non che io non mi fidassi di Vito, di cui senza fine ammiro lo spirito diretto e genuino, ma un cuoco deve avere una certa dose di fantasia (e questa non manca a Vito), ma deve avere soprattutto tanta pazienza. Il mestiere del cuoco è eminentemente sperimentale. Come novello Galileo deve provare e riprovare e non stancarsi mai di provare.
E poi deve pazientemente mettere alla prova sua e di qualche altra cavia il frutto del proprio lavoro. E non conoscevo queste virtù di Vito, che invece appare come un cuoco veramente professionale. Anche se devo ancora verificare direttamente i sapori dei suoi piatti (non mi ha ancora invitato a provarli !).
Nelle ricette di Vito ho ritrovato comunque un’aria di famiglia: dalle lasagne fino alla zuppa inglese passando per le crescentine fritte. Un abisso ci separa invece nella ricetta dei tortellini in cui mai, anche risalendo indietro per generazioni, la mia tradizione famigliare vi avrebbe potuto immettere un solo grammo di mortadella, nonostante l’importanza determinante che questo delizioso prodotto avrebbe in seguito avuto nella mia vita politica. E non credo che mia nonna, da brava nordemiliana, l’avrebbe mai tollerata nei tortellini anche se fosse stata ancora viva ai tempi della mia Presidenza del Consiglio.
E non so nemmeno quale giudizio avrebbe potuto dare sulle ricette personali di Vito, a cominciare dall’astice e dalle capesante di cui essa ignorava persino l’esistenza. In verità questo interrogativo sulle ricette personali di Vito non riguarda solo mia nonna ma mi tocca di persona perché le sue invenzioni “esclusive” le ho solo gustate nel loro aspetto letterale ma, come accennavo in precedenza, non ho avuto l’occasione di assaggiarle nella loro concretezza.
Mi auguro perciò che queste poche righe bene auguranti possano avere la positiva conseguenza di potere in futuro apprezzare la cucina di Vito non solo in teoria ma nei suoi profumi e nei suoi sapori. Che hanno tuttavia l’apparenza di essere davvero straordinari, così straordinari da farmi cadere ogni iniziale diffidenza.