Donne protagoniste della “Primavera Araba”. Bisogna coordinare il lavoro del volontariato in Africa
L’ex premier è incaricato speciale dell’ONU
«Donne artefici del risveglio dei Paesi africani»
Prodi: ma la strada resta lunga
Intervista di Bruno Lugaro a Romano Prodi su Il Secolo XIX del 30 giugno 2011
Il «Risveglio africano», come ama chiamarlo Romano Prodi, è anche il risveglio delle donne che nella “Primavera Araba” hanno avuto un ruolo spesso determinante in Bahrein, Egitto, Libia. Donne, dunque, non ai margini, ma protagoniste di sommovimenti epocali. L`ex premier ne parla al Secolo XIX, nella duplice veste di presidente del gruppo di lavoro Onu-Unione Africana perle missioni di peacekeeping, e presidente della Fondazione per la Collaborazione dei Popoli. Insomma, da un osservatorio privilegiato.
Professor Prodi, nel Nord Africa le donne hanno dato un primo segnale di emancipazione?
«Sì, si sono sottratte al ruolo tradizionale che hanno in quelle società, soprattutto le giovani donne, la generazione di internet, della tv satellitare. Una generazione più colta e dunque più consapevole del ruolo che può avere. Ma attenzione: non ci si illuda che all`improvviso siano cambiati costumi e tradizioni. Il cammino sarà lento, faticosissimo. Ma la direzione è quella giusta».
Le donne in Africa sono ancora vittime di discriminazioni, soprusi, violenze.
«Non solo. La donna in molti casi è quella che porta il peso fisico della famiglia, il peso più massacrante del lavoro. È discriminata due, tre, cento volte. E questo è un problema di non facile soluzione e che richiede tempi lunghi, come dicevo».
E sarà lungo anche il cammino verso il “risveglio africano”.
«Il nostro lavoro è una goccia nel mare, ma l`obiettivo è chiaro: aiutare la cooperazione tra Paesi africani, sotto il profilo economico e politico. Dobbiamo spingere Stati Uniti, Unione Europea, Cina e Unione Africana a compiere uno sforzo comune in questa direzione. L`Unione Africana è fatta da 53 Paesi (più il Marocco), alcuni anche molto piccoli. Se non cooperano tra di loro non avranno mai un futuro. Ed è poi necessario che questa cooperazione sia garantita da una struttura sovranazionale».
C`è l`Unione Africana, che però fin qui ha fallito.
«È vero, però i processi sono lenti e se si vuole raccogliere bisogna prima seminare. Anche un piccolo seme di autorità sovranazionale che aiutai rapporti trai Paesi, diventa importante».
A Washington la sua Fondazione, lo scorso 16 giugno, ha gettato un seme per la cooperazione.
«In Africa non c`è solo da lavorare per la pace e la sicurezza. Dobbiamo promuovere la realizzazione di infrastrutture che agevolino i collegamenti tra i diversi Paesi. Dobbiamo spingere verso la creazione di un mercato africano sempre più libero e ampio. C`è davvero tanto da fare. Per ora, voglio essere onesto, i risultati che abbiamo ottenuto sono modesti. Sono gocce nel mare, come le dicevo. Però parliamo di obiettivi di lungo termine, rispetto ai quali bisogna insistere, anche se i successi tardano ad arrivare».
C`è anche la questione del debito dei Paesi africani verso l`Occidente, la Cina. Da anni si parla di aiuti in questo senso.
«Qualche progresso negli ultimi anni è stato fatto. Molti Paesi, e la stessa Ue, hanno effettivamente concesso la remissione del debito».
Gli esempi migliori da quali governi sono arrivati?
«Dalla Scandinavia, dal Giappone e, negli ultimi tempi, anche dalla Gran Bretagna».
Scusi, e l`Italia?
«Fanalino di coda. Il peggiore di gran lunga. In qualsiasi riunione il nostro Paese viene biasimato per la scarsa sensibilitàverso il problema della remissione del debito».
E vero che l`Ue potrebbe affidarle un ruolo di mediazione perla Libia?
«L`ho letto sui giornali ma nessuno me ne ha mai parlato, anche perché mi sembra che in questo momento la mediazione non lavoglia nessuno».
Un ultimo flash sul convegno di Genova. L`obiettivo è creare un coordinamento tra le varie associazioni di volontariato che operano in Africa
«Obiettivo molto importante. Ci sono tantissime anime generose in giro per l`Africa e se ci fosse un coordinamento, la loro generosità darebbe risultati molto maggiori. Nessuno deve rinunciare alla propria identità, che è un valore, una molla indispensabile. Ma almeno si sappia cosa fa uno e cosa fa l`altro. E cosa si può fare insieme. Meno mezzi ci sono più occorre usarli bene».