Draghi al governo fino al 2023: una garanzia per la stabilità dell’Italia

“Draghi deve restare al governo fino al 2023 è una garanzia per la stabilità dell’Italia”
L’ex presidente del Consiglio: il premier metterà il Paese al riparo dagli scossoni, ma sarebbe molto utile anche al Quirinale

Intervista di Fabio Martini a Romano Prodi su La Stampa del 26 luglio 2021

Fra otto giorni ha inizio il semestre bianco e dunque l’impossibilità di sciogliere le Camere consentirà ai partiti di tirare ancor di più la corda senza spezzarla, ma Romano Prodi, che ha conosciuto sulla sua pelle l’egoismo delle forze politiche, sdrammatizza con humour padano: “Ma noi è un bel po’ che siamo dentro il semestre bianco! A me pare che i partiti abbiano capito da tempo che, in emergenza, è tutto congelato. Direi che il semestre è iniziato non appena è nato il governo Draghi!”. Sempre in connessione con le principali personalità politiche italiane e con un vasto network internazionale, il Professore sorride disincantato a chi prova a riproporre per lui il tema del Quirinale?

“Ma no! Credo che oramai lo abbiano capito bene proprio tutti: pur non essendo mai stato fazioso, mi sono sempre battuto per le mie idee, non le ho mai cambiate e quindi difficilmente posso rappresentare tutto il Paese”.

Alla fine del semestre bianco Draghi potrebbe essere “indotto” a salire al Colle e questo significa che fra 20 settimane questo governo si congeda: un lusso che l’Italia può concedersi?

“Gli scenari di questo tipo non sono mai prevedibili in modo “matematico”. Per almeno due ragioni preliminari. Primo: bisogna capire cosa vuole fare Mario Draghi. Molto dipenderà da quello che lui deciderà come orizzonte per la sua vita. Secondo: come reagiranno i partiti ad una sua candidatura o ad una sua non-candidatura? Fare previsioni è difficile. L’unica cosa indispensabile è che il passaggio del Quirinale non sia conflittuale. Che non rompa il Paese”.

Ma al netto delle legittime ambizioni di Draghi, a suo avviso per gli italiani quale sarebbe lo scenario migliore?

“Sarebbe importante che Draghi e la sua maggioranza potessero governare sino alla fine della legislatura: qualsiasi scossone nei prossimi mesi metterebbe in allarme il sistema internazionale. Dunque una permanenza del governo sarebbe una garanzia per tutti. Ma occorre dire che Draghi anche come Capo dello Stato – con un passaggio guidato e non traumatico – sarebbe una garanzia importante. Tra l’altro anche una garanzia di durata”.

C’è chi dice: dal Quirinale Draghi potrebbe indicare il ministro dell’Economia e col suo carisma potrebbe “governare” transizione e rapporti con l’Europa, come e più che a palazzo Chigi. Ma davvero è così?

“Governare dal Quirinale? No, perché per definizione è il governo a governare. Ma indirizzare sicuramente sì. Anche se ovviamente tra governare e indirizzare c’è differenza. Ma attenzione: nel passaggio del Quirinale c’è un aspetto strategico: è indispensabile che non sia conflittuale. Perché un passaggio turbolento, questo sì, sarebbe molto pericoloso”.

Si dimentica spesso che la fetta più cospicua di risorse europee non è prevista per il Paese con più popolazione ma quello crescita più bassa. Lei conosce Bruxelles: è ipotesi di scuola la sospensione dei fondi davanti ad inadempienze italiane?

“Conoscendo bene Bruxelles, è possibilissimo che ad un certo punto possano interrompersi i finanziamenti. Le condizioni sono estremamente analitiche e dettagliate. Di una precisione al limite della pignoleria: sono state scritte perché un domani le risorse possano essere sospese per qualsiasi Paese e quindi anche per l’Italia. Il governo Draghi è nato proprio per evitare questo scenario. Occorre il passaggio decisivo: tradurre queste importanti premesse in realtà concrete. Trasformando il sistema produttivo e facendo tutte le riforme strutturali”.

Periodicamente si sente ripetere: “È l’ultima occasione per l’Italia”. Stavolta un refrain retorico più vero di altre volte? O sfruttiamo la leva europea o rischiamo di non rimetterci in piedi?

“È così! Non ci vuole la matematica, basta. l’aritmetica! Se arrivi ad un debito di 160 rispetto al Pil, dovrai mettere nel contro sul lungo periodo una ripresa di aggressività dei Fondi internazionali che sul breve si è attenuata. Io ero arrivato a 100, non perché volessi battere un record ma perché alla lunga i conti li devi aggiustare. E d’altra parte se non te li aggiusta una guerra o un’inflazione galoppante, e speriamo che il cielo non ce le dia, li devi aggiustare tu! “.

Chiunque guidi il governo, cosa deve fare per mantenere le risorse promesse dall’Europa?

“Dopo aver presentato un Piano credibile, un cronoprogramma e l’impegno a realizzare alcune riforme strutturali, occorre il passaggio decisivo: tradurre queste importanti premesse in realtà concrete. Trasformando il sistema produttivo e facendo le riforme istituzionali. Per l’Italia, la vera leva che può attivare il Next Generation Eu sta nei cambiamenti che noi al nostro interno sapremo fare: è la fase più complicata”.

Vigilia delle elezioni tedesche: che traccia lascia Angela Merkel nella storia europea?

“Ho sempre avuto un giudizio complessivamente positivo dell’azione di Angela Merkel. Certo, a suo tempo ho espresso un giudizio estremamente duro sul suo atteggiamento verso la Grecia e soprattutto sulla politica dell’austerità: uno sbaglio che è costato. Ma più di recente abbiamo avuto una Germania ben diversa, che ha sostenuto la solidarietà europea. Un atteggiamento che un anno e mezzo fa, non pensavamo neppure come ipotesi lontana“.

Senza la sua “mutti”, non sarà più la stessa Germania e la stessa Europa?

“Guardate: quando arrivò Kohl tutti dissero che era una personalità di secondo piano e lo stesso si ripeté con Angela Merkel! Ricordiamoci che in Germania prevalgono sempre la continuità e la chiarezza degli orizzonti. Persino in un Paese che impiega sette mesi per comporre un governo. Poi, una volta fatto il governo, quello tiene per un’intera legislatura. La solidità delle strutture politiche è decisiva”.

Le piace il “nuovo” Letta, che scommette su risposte nette, talora anche a costo di rifiutare il confronto parlamentare?

“Se leggo le ultime intenzioni di voto vedo che passettino dopo passettino, Letta sta ricomponendo la forza del partito, che oramai è pari a quella della Lega. Ora, dopo la ricuciture, le Agorà: il tentativo di ricostituire un partito popolare, a larga base. Che Letta riesca o meno, ha una potenzialità: lui appartiene al partito e non alle correnti”.

Un Pd “bideniano”? Leader moderato e proposte molto profilate?

“Noi stiamo sottovalutando l’innovativa politica economica e sociale di Biden. Non siamo più in un contesto di liberismo dominante, col quale ho dovuto confrontarmi io e in Italia il Pd è l’unico che almeno teoricamente sta interpretando quella linea. Se continuerà a farlo, credo che lo spazio sia destinato a crescere”.

I cortei no-vax degli ultimi giorni preludono a movimenti “eversivi”?

“In ogni società c’è una quota di irrazionalità, quella che gli anglosassoni chiamavano un tempo, lunatic fringe, la frangia lunatica. Si tratta di minoranze che purtroppo fanno parte della “normalità” delle società moderne nelle quali alcuni individui si rifugiano in sé stessi anziché condividere i valori di convivenza col resto della collettività. Dobbiamo riconoscere che da noi questi movimenti sono meno rilevanti che in Francia o negli Stati Uniti”.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
luglio 26, 2021
Interviste