Europa Federale ed Europa delle Regioni per porre rimedio agli errori del passato

«Il vostro primo aggancio è l’Europa» Prodi: «La specialità va utilizzata per prendere iniziative»

Intervista di Alessandro Papayannidis a Romano Prodi sul Corriere del Trentino del 1 febbraio 2014

Professor Prodi, lei verrà a Trento, tra le altre cose, per parlare agli studenti universitari del ruolo dell’Italia nel mondo globalizzato. Quali occhiali bisogna indossare per comprendere i cambiamenti di potere e i mutamenti socio-economici della nostra epoca?

«Prima ancora degli occhiali, è importante aprire gli occhi. Non è una cosa da poco: i nostri dibattiti politici sono sempre più nazionali, più chiusi, più provinciali. Abbiamo staccato il rapporto con il resto del mondo e questo è terribile. Se vogliamo riprendere un ruolo dobbiamo renderci conto che siamo una piccola ruota in un grande orologio, che non siamo l’ombelico del mondo, ma dobbiamo riferirci agli altri. Poi occorre assumersi un impegno specifico: senza rischiare non non si sta al passo col mondo che cambia velocemente».

Quando lei dice «Siamo una piccola ruota in un grande orologio» denuncia un limite o indica un’opportunità?

«Solo opportunità. E se non ci riferiamo agli altri, le perdiamo. Il primo aggancio è con l’Europa e Trento, come Bolzano, è una città particolarmente adatta per capire queste dinamiche».

Sul nostro giornale il politologo Sergio Fabbrini ha sollecitato le due Province ad autonomia speciale a cogliere l’opportunità del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea per organizzare iniziative che conferiscano loro una nuova centralità su temi come l’immigrazione o l’euroregionalismo.

«Mi riferisco certamente anche a queste iniziative, ma pure ad altro. Per esempio all’attitudine di assumere decisioni per il lungo periodo, a un’economia sempre più legata al Nord Europa, all’attrazione di cervelli dall’estero, oltre che di investimenti. Processi che, naturalmente, si spingono oltre il semestre italiano di presidenza dell’Unione. Tenga presente che buona parte del nostro semestre europeo cadrà in un periodo di istituzioni comunitarie ancora non funzionanti, visto che si vota a fine maggio. Sarà allora molto importante che ci sia la spinta della società civile. In un quadro come questo, Trento e Bolzano devono approfittare dello Statuto speciale per prendere iniziative, penso ad esempio alla ricerca, che in questo momento altre aree del Paese non hanno la possibilità di assumere».

Lei crede che sia possibile un’Europa delle Regioni in un momento in cui la crisi economica, almeno in Italia, sembra gonfiare le vene di un nuovo centralismo statale?

«Oggi c’è un’Europa degli Stati. Attenzione però: la contrapposizione vera non è tra Europa degli Stati e Europa delle Regioni, ma tra un’Europa guidata da un’autorità sovranazionale molto forte, cioè un’Europa federale, e un’Europa delle nazioni. Non vedo le Regioni in contrapposizione a un’Europa federale, due regioni non fanno uno Stato nuovo».

Trento, Bolzano e Innsbruck puntano molto sulla propria Euroregione.

«Una cooperazione più forte tra il Nord e il Sud delle Alpi è molto importante. È un ponte economico, politico e culturale che non confligge con un’Europa federale».

A Trento, martedì prossimo, lei parlerà anche alla Fondazione Kessler di scenari di transizione, di geopolitica. Se l’Italia è una piccola ruota dell’orologio, chi è l’orologiaio?

«È proprio questo il punto: non abbiamo più un orologiaio solo. Inoltre in dieci anni l’orologio è diventato molto più complesso e, per continuare nella metafora, ha più di una batteria. A Trento, come in Nuova Zelanda, bisogna cercare di capire cambiamenti che avvengono a velocità impressionante anche in direzioni diverse da quelle attese: pensiamo alle primavere arabe e alla loro involuzione, al ritorno alla centralità della Russia in poche settimane, alla perdita di ruolo dell’Europa. C’è un’incertezza che nessuno prevedeva».

Nel frattempo cambiano gli equilibri anche in Italia. Con la riforma del titolo V della Costituzione, Trento e Bolzano, ma anche le regioni ordinarie più avanzate, promuovono un regionalismo più spinto con l’acquisizione di nuove competenze. Lei come vede questo processo?

«Una revisione del titolo V della Costituzione è necessaria, perché non ha dato risultati positivi. Però non bisogna pensare che questo processo debba avvenire in una direzione soltanto. Si può parlare di competenze in più, ma anche di competenze in meno. Penso alla politica energetica o alla politica del turismo, materia affidata alle regioni, che si sta rivelando un disastro: a cosa serve avere all’aeroporto di Dubai un’insegna «Visit Basilicata» o «Visit Trentino»? Non sanno nemmeno dove siano. Per fare la riforma del titolo V bisogna conoscere il mondo. Sono stati fatti errori colossali ed è nell’interesse delle stesse Regioni porvi rimedio».

Martedì sera, nel terzo appuntamento trentino, incontrerà i giovani della scuola di preparazione sociale. Qual è il messaggio per loro?

«Prima di tutto un messaggio di fiducia. Bisogna evitare lo scetticismo e la tentazione di limitarsi a dire che i problemi li hanno creati gli altri: l’impegno è importante. Poi dico ai giovani: attenzione, solo dandosi la mano si fa una catena lunga. Bisogna lavorare nella propria comunità e fare in modo che questa si incontri con le altre».

 

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