Flavia intervista Romano: con la solidarietà più fiducia nell’Europa

Il presidente e la via maestra. L’Europa punti sul volontariato per una “casa comune” più solida
La moglie Flavia intervista il Presidente: grazie alla solidarietà più coesione e fiducia nella “casa comune”

Flavia Franzoni intervista Romano Prodi per Vdossier del 22 marzo 2019

Colloquio in famiglia: l’ex presidente della Commissione europea dialoga con la moglie Flavia su solidarietà, Ue, giustizia sociale e futuro delle nostre comunità

Chi vuole proteggere e rinnovare l’idea stessa di Europa, vuole di nuovo una Europa “sociale” e solidale. E non soltanto perché proprio in questi anni l’Unione europea non è stata capace di affrontare le tragedie dell’immigrazione, ma anche perché non sempre pone al centro dell’attenzione quella che è stata una delle grandi conquiste della cultura e della politica dei Paesi europei nel secolo scorso, cioè il welfare state. E perché fatica a portare avanti quel lavoro comune tra Paesi che non solo consente all’Europa di difendersi dai due colossi che dominano il mondo, Cina e Stati Uniti, ma che attiva una politica di vera coesione al suo interno. Chi vuole una Europa che sia fedele alle sue radici e insieme rinnovata parla di solidarietà, di maggior uguaglianza tra i suoi cittadini, di dialogo, di coesione sociale, di servizio alla comunità, di bene comune, di partecipazione, di pace. Sono anche le parole del volontariato. Sono le leve che spingono migliaia di cittadini europei a impegnarsi quotidianamente in attività di volontariato.

Ci si può chiedere allora: questo “esercito del bene” potrebbe farsi ambasciatore e garante del rispetto di questi valori in Europa? Potrebbe rappresentare un punto di convergenza e di contrasto alle spinte disgreganti che oggi minacciano l’Europa?

Il volontariato potrebbe aiutare l’Europa su più fronti. È l’azione stessa del volontariato a diffondere una cultura della solidarietà che certamente ha costituito una delle difese al prevalere del così detto “pensiero unico”. Un pensiero che, a partire dagli degli anni ’80, si è imposto al mondo attraverso le azioni di Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher in Gran Bretagna. Tale ideologia ha orientato le politiche economiche e sociali di tanti Paesi, ricchi e poveri. Essa riconosce il primato del mercato e il rifiuto del ruolo dello Stato non solo come gestore diretto ma anche come regolatore almeno di parti del sistema socioeconomico. Una deriva liberista che non consente di perseguire i grandi obiettivi della società moderna come la tutela dell’ambiente e la lotta alla povertà e alle diseguaglianze che richiedono politiche pubbliche. Può sembrare un paradosso, ma proprio il volontariato, che è il simbolo dell’adesione libera e indipendente a progetti di solidarietà, è di aiuto a queste politiche pubbliche, perché i tanti gruppi di volontari impegnati quotidianamente in azioni concrete sui territori sono il fertilizzante più diffuso delle idee di solidarietà e di convivenza che consentono l’adesione dei cittadini all’idea di una società più giusta. Il volontariato rappresenta una sollecitazione autentica per l’Europa e per le istituzioni europee a ritrovare lo spirito degli obiettivi originari dell’Unione stessa: democrazia, solidarietà, pace.

Come avvicinare le giovani generazioni all’Europa e contrastare sfiducia e disaffezione?

Ai giovani io tento di far capire cosa è stato e cosa dovrà tornare ad essere il grande sogno europeo. Riguardo al passato bisogna continuare a spiegare che l’Europa non nasce dai banchieri. I padri dell’Europa Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Konrad Adenauer non erano economisti e neppure particolarmente esperti di economia. Volevano l’Europa unita per chiudere con il passato, con le tragedie della seconda da guerra mondiale e costruirono i presupposti per una nuova pagina della storia. Volevano la pace. L’obiettivo è stato raggiunto. l’Europa ha garantito la pace entro i suoi confini per oltre settanta anni, mentre appena fuori da questi confini, nei Balcani, sono continuati i massacri. Non si è mai verificato nella storia un periodo così lungo di pace tra i paesi dell’Europa. Tre generazioni di pace. Tanto che quando parlo ai giovani della pace a volte mi guardano come se fossi un dinosauro, come se oggi la pace fosse un diritto garantito per sempre. È difficile spiegare loro che la guerra e gli scontri possono tornare. E con l’allargamento dell’Ue verso Est si sono inglobati in questo spazio di pace e di sviluppo economico altri 80 milioni di persone. Ma ai giovani tento di parlare anche di futuro. Se vogliamo che l’Europa continui ad avere un ruolo nel mondo anche in campi molto cari ai giovani come la scienza e la tecnologia i vari Paesi devono lavorare insieme, avere programmi e finanziamenti comuni. Insomma anche l’innovazione e la nuova occupazione dipendono dal funzionamento della Comunità europea.

E il mondo?

Nessun Paese, da solo, nemmeno la forte Germania, può affrontare le sfide della globalizzazione, del confronto commerciale, economico e tecnologico, ma anche politico e sociale con le grandi potenze, Usa e Cina. È lo sguardo attento alla storia che ancora una volta ce lo insegna: nel Rinascimento i piccoli stati italiani primeggiavano in tutti i campi, dalla scienza alle tecnica, dalla pittura all’arte militare e perfino nei sistemi di contabilità. È loro l’invenzione anche della “partita doppia”! Ma all’arrivo della prima globalizzazione, ossia la scoperta dell’America, quegli stati così divisi non riuscirono a rapportarsi con il mondo, a competere con le nazioni europee che erano in grado di costruire le grandi caravelle, le sole adeguate alla navigazione in acque oceaniche. L’Italia è da allora scomparsa dalla carta geografica per quattrocento anni. È il rischio che oggi corrono i paesi europei. Le nuove caravelle sono le grandi reti (Google, Amazon, Alibaba, eccetera) tutte americane e cinesi, nessuna europea. E non è solo una sfida economica, ma politica e culturale insieme. Se vogliamo difendere le conquiste più importanti dei paesi europei come lo stato sociale e la democrazia è l’Europa nel suo complesso che deve avere un ruolo nel mondo. Non dimentichiamo che lo stato sociale, il “welfare” come si dice oggi, cioè il riconoscimento dei diritti sociali dei cittadini alla salute, all’istruzione, ad un minimo di benessere… è una prerogativa dei Paesi europei. Difendere la cultura europea significa difendere tutto questo. E questo è un fronte su cui sempre il volontariato è stato impegnato. Oggi “il mondo ha bisogno di Europa”, bisogna fare scattare negli europei il senso che insieme possiamo contare ancora. Riusciremo a portare avanti questi valori solo se avremo un’unità politica. Anche se è un cammino difficile, è un cammino possibile.

L’Europa potrebbe investire sul volontariato, la partecipazione civica, la cura della comunità per restituire ai cittadini la speranza e la voglia di essere parte attiva del percorso di integrazione europea?

L’Europa è regolata dal principio di sussidiarietà verticale e le competenze riguardo alle politiche sociali sono dei diversi Paesi e delle amministrazioni locali. Ma chiunque abbia partecipato ai progetti europei finanziati dal Fondo sociale europeo (soprattutto rivolto a promuovere occupazione e inclusione sociale), dal Fondo di coesione (intesa come convergenza economica delle regioni meno sviluppate) e dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale e urbano (che pone l’attenzione anche sulla vita delle città) vi ha ritrovato proposti obiettivi su cui da tempo Terzo settore, volontariato e partecipazione civica sono impegnati. Si pensi ad esempio al superamento del disagio e dell’abbandono scolastico, o all’obiettivo della inclusione lavorativa anche dei più fragili che sono elementi fondanti dell’inclusione sociale. Sui territori europei, così come all’interno di alcuni progetti della Comunità europea, volontariato e non profit sono protagonisti. Il volontariato nelle sue varie espressioni così come in generale il non profit (che nei vari Paesi assume diverse forme giuridiche) entrano nella costruzione delle nostre comunità. Ed è il volontariato che origina un non profit capace di mantenere la sua autenticità.

Le politiche europee degli ultimi anni, soprattutto nel far fronte alla crisi economica sembrano aver dimenticato la dimensione sociale dell’Europa. La politica economica restrittiva finalizzata al controllo dei debiti pubblici dei Paesi non ha raggiunto gli obiettivi che si poneva e ha sacrificato in molti casi la crescita economica, e in particolare gli investimenti in strutture sociali. I tagli alla spesa sociale rischiano poi di chiamare in causa risorse aggiuntive come il volontariato in funzioni di supplenza. E non è questa la sua missione. Cosa ci dice dell’Europa solidale il Report “Boosting Investment in Social Infrastructure in Europe“? È un progetto intorno al quale il volontariato (strutturato in associazioni, ma anche nelle sue espressioni più spontanee di cittadinanza attiva), i cittadini possano mobilitare risorse aggiuntive, nel rispetto del principio di sussidiarietà?

Ho presieduto la Commissione che ha redatto questo Rapporto. In essa erano presenti le Casse depositi e prestiti e grandi banche pubbliche dei diversi Paesi europei. Il rapporto definisce le modalità di finanziamento di grandi progetti che si occupano di tre importanti settori: case popolari, edilizia scolastica e strutture e attrezzature per servizi sanitari. Si aiutano i necessari investimenti in settori riguardo ai quali le competenze sul funzionamento sono dei paesi membri, delle regioni e degli enti locali. Saranno questi che dovranno scegliere i progetti. Ma questi investimenti vogliono essere volano di tanto altro. Toccano ambiti in cui il volontariato e il Terzo settore sono ben presenti e possono diventare risorse aggiuntive per il raggiungimento dei fini ultimi dei progetti: più scuola, più salute e più casa. Abbiamo consegnato e illustrato il rapporto alla Commissione europea in questi ultimi mesi, sarà la prossima commissione che dovrà dargli gambe. Ecco perché sono importanti i risultati delle elezioni europee. Io spero che possano dare almeno un segnale di speranza.

Il volontariato agisce molte volte nel piccolo delle comunità locali (anche quando lavora in Africa!) ma guarda il mondo e spera di dare un contributo al suo miglioramento. Il volontariato si sta interrogando: i suoi valori e la sua azione possono essere possibili collanti nel processo di integrazione europea. Come può essere valorizzato il suo contributo valoriale, ma anche estremamente concreto, la sua capacità di essere scuola di cittadinanza e motore di fiducia nella costruzione della comune casa europea? Se dovessimo lanciare un appello al volontariato per sollecitarlo a rendersi protagonista nel processo di integrazione europea, che invito sarebbe?

Dobbiamo ancora ricordare che il volontariato nasce e cresce su base locale, vicino al prossimo. Questo aspetto che si riassume nel nome un po’ antico e solenne di “sussidiarietà” deve essere rispettato. L’Unione europea, soprattutto dopo la crisi economica che ha tolto tante risorse alle comunità locali, ha il dovere però di fornire i mezzi e le competenze tecniche perché le interazioni a cui ho fatto cenno possano realizzarsi nel migliore dei modi. Ed è un compito rispetto a cui il rapporto descritto in precedenza assume piena responsabilità. Avrei anche un ulteriore desiderio, che l’Unione europea mettesse insieme competenze e mezzi per offrire le varie esperienze del volontariato al servizio di comunità meno favorite, a cominciare dai Paesi africani riguardo ai quali le meravigliose strutture di volontariato già operanti si trovano di fronte ad un compito superiore alle loro attuali potenzialità. Anche in questo caso c’è bisogno dell’Unione europea e l’Unione europea ha bisogno del volontariato.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
marzo 22, 2019
Interviste