I voucher hanno spesso raggiunto il risultato opposto sostituendosi ai regolari contratti di lavoro
Prodi: che errore abolizione voucher «Lavoro va sempre regolamentato»
Intervista di Nando Santonastaso a Romano Prodi su Il Mattino del 17 Marzo 2017
Era stato il governo da lui guidato nel 2008 (ministro del Lavoro Cesare Damiano) ad applicarli per la prima volta ma limitatamente all’agricoltura. «Dovevano garantire la copertura assicurativa per chi raccoglieva l’uva per una ventina di giorni all’anno» ricorda Romano Prodi in una pausa dell’incontro di ieri all’università Luiss nel quale sono stati lanciati, in partnership con Invitalia, un Laboratorio di idee sul Mezzogiorno con politici, economisti ed esperti e un master di secondo livello in Economia e politiche dello sviluppo destinata al rilancio del dialogo sociale e della formazione dei quadri della Pa meridionale.
Professore, in otto anni i voucher sono diventati ben altro…
«Purtroppo è così. L’istituto era nato per ridurre il lavoro-nero e, appunto, assicurare una maggiore copertura assicurativa per occupazioni temporanee o saltuarie ma è stato applicato molto oltre i suoi obiettivi. Al punto che spesso ha finito per raggiungere il risultato opposto, sostituendosi ai regolari contratti di lavoro».
Meglio abolirli del tutto come chiede la Cgil e ora, a quanto pare, anche il governo?
«Un’elementare saggezza avrebbe consigliato di mettersi attorno a un tavolo per cercare la soluzione concreta. Lo strumento resta certamente utile se condotto e regolato in linea con gli obiettivi che si proponeva quando fu introdotto. E sui quali, ricordo, vi era un accordo assai diffuso. Ho già detto in altre occasioni che è sicuramente difficile convergere verso una comune direzione dopo tanti decenni nei quali si sono battute strade diverse. E so perfettamente come questo cambiamento di rotta richieda un dialogo comune da parte dei sindacati. Ma resto dell’idea che se vogliamo uscire dalla crisi c’è bisogno di un sindacato forte non solo nell’elaborazione delle proposte ma anche nella capacità di interpretare l’interesse comune».
Sbagliato dunque abolirli del tutto?
«Io penso che i voucher non bisogna farli diventare uno strumento di politica del lavoro generale ma abolirli completamente non mi sembra saggio: basta farli tornare, lo ripeto, al loro percorso originario, né più né meno».
Voucher, ovvero lavoro precario, ovvero tanto Sud: lei ha accettato l’invito di Luiss e Invitalia di far parte di un Laboratorio di idee per il Mezzogiorno. Con quale obiettivo?
«Di provare a dare qualche idea per correggere finalmente questa anomalia in Europa che si chiama Mezzogiorno. Il Sud Italia si è distaccato dal Nord mentre Est e Ovest sono agganciate ai mercati del continente. Non è un problema di risorse, sia chiaro, c’è altro che deve far preoccupare seriamente».
A cosa pensa, Professore?
«Le sembra normale continuare a vedere tanti giovani meridionali che vanno via non solo per cercare un lavoro ma ora anche per studiare? È evidentemente solo un aspetto della più ampia problematica del Mezzogiorno ma sicuramente uno dei più preoccupanti».
Le si chiede nel Laboratorio Luiss-Invitalia di lanciare idee per colmare il gap, un po’ come negli anni Cinquanta il governo dell’epoca chiese a molte menti illuminate di sedersi attorno a un tavolo per curare l’ammalato Mezzogiorno: ci ha pensato?
«Intanto non facciamo paragoni così impegnativi, noi ci siamo solo resi disponibili a dare un contributo su questo tema che resta centrale per il futuro del Paese. Io penso che sia necessario creare più poli vincenti nel Mezzogiorno, capaci di aggregare le imprese e di renderle sempre più competitive. Ma questo vuol dire che ad un’industria moderna devono corrispondere servizi altrettanto moderni. E non mi riferisco solo all’industria».
Pensa anche al turismo?
«Come no? Sono stato colpito da come siano rinati Pompei o la Reggia di Caserta. Ti danno un’idea di come si può rovesciare una situazione. Ma bisogna fare in fretta. Se continueranno ad andare via le élite continueremo a perdere. Ma quando penso al turismo moderno penso ad aeroporti attrezzati e a campi da golf nelle vicinanze, ad esempio».
Il Sud può contare su un sistema formativo con molte università: non si dovrebbe partire da qui?
«Mah, ci sono tantissime università nel Mezzogiorno, è vero, ma sostanzialmente tutte uguali. Se facessimo invece trienni di laurea vicini ai poli di eccellenza e in grado di preparare i futuri specialisti di quei settori sarebbe molto meglio. Pensi solo al valore dell’agricoltura e dell’agroalimentare nel Sud: perché non dovremmo creare più scuole tecnico-agrarie?».
Il piano Industria 4.0 del governo è la frontiera più avanzata per l’innovazione e la ricerca: ma sono in molti a temere che in «questo» Sud rischia di far saltare anche quel poco che c’è?
«Intanto i nuovi poli di sviluppo ai quali ho accennato sono profondamente diversi dai vecchi. Le imprese leader ci sono ed è attorno ad esse che bisogna creare lo sviluppo vincente. Ma per essere al passo di Industria 4.0 bisogna fare anche altro: se vogliamo creare forme di successo bisogna partire dai perìti industriali, dalla formazione scolastica insomma. In ogni caso va detto che quel poco che c’è, come lei lo ha chiamato, è assolutamente competitivo, molte imprese del Sud sono sugli stessi livelli di quelle del Settentrione. Solo che qui occorre un aggregatore, un coordinatore che le leghi al sistema internazionale dello sviluppo. E questo è un compito della politica, certo, ma che anche le imprese devono condividere».
Lei crede che l’attuale classe dirigente e non solo politica del Mezzogiorno sia all’altezza di questo compito?
«Lo sfaldamento politico del Paese lo si vede ormai tutti i giorni, inutile sottolinearlo. Ma ci sono anche individualità importanti che possono aprire il cuore alla speranza. Non siamo sicuramente più fessi di altri popoli, solo che a noi manca il senso della squadra, soprattutto al Sud è così. Facciamo uno sviluppo organizzato cercando di creare dei vincitori e vinceranno tutti».