In Mali tutto il mondo si è unito per combattere il terrore
“Tutti uniti contro il terrore. L’Onu mai così compatta”
L’inviato speciale Prodi: “Anche Russia e Cina temono il caos”
Intervista di Maurizio Molinari a Romano Prodi su La Stampa del 13 gennaio 2012
L’attacco degli islamici dal Nord è stato violento, del tutto inatteso, e il mondo si è unito contro il pericolo terrorista»: così Romano Prodi, inviato speciale dell’Onu per il Sahel, ricostruisce quanto avvenuto in Mali, da dove è appena tornato.
Lei si trovava a Bamako, capitale del Mali, dal giorno precedente dell’intervento francese. Che atmosfera c’era?
«Ero giunto a Bamako per incontri con i vertici del governo e dello Stato. Nel primo colloquio avevamo discusso dell’agenda di riconciliazione e sviluppo, basata sul mandato che ho ricevuto dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, ma sei ore dopo nel secondo appuntamento tutto era radicalmente cambiato: il Mali chiedeva l’immediato intervento della comunità internazionale, faceva capire di avere bisogno di aiuto. Per questo il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito e le forze francesi sono intervenute sulla base di un consenso vasto».
Quale è stato il casus belli intervenuto nelle sei ore trascorse fra il suo primo al secondo incontro avuto a Bamako?
«Le milizie islamiche del Nord, superando le loro differenze e divisioni, hanno lanciato l’attacco a Kona, sfondando le difese dell’esercito del Mali ad appena 8 ore di strada da Bamako. Si è trattato di un attacco massiccio, inatteso, percepito dal governo del Mali come una minaccia diretta e terribilmente seria».
Che idea si è fatto dei gruppi di ribelli del Nord del Mali?
«Hanno subito una trasformazione negli ultimi mesi. Prima prevalevano i motivi inerenti all’autonomia, riproponendo la dialettica fra Nord e Sud che esiste in Mali, ma questa identità indipendentista ha lasciato il passo a una svolta jihadista, segnata dalla volontà di creare uno Stato retto dalla versione più fondamentalista della sharia. I ribelli sono diventati jihadisti».
Perché il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che è immobilizzato sulla Siria non ha avuto esitazioni a unirsi sul Mali?
«Devo ammettere di non aver mai visto una coesione internazionale come quella che distingue in queste ore il sostegno all’intervento militare in Mali. Il motivo sta nel fatto che la paura del terrorismo accomuna tutti. Anche quei Paesi, come l’Egitto, tradizionalmente più restii ad approvare interventi in nazioni a maggioranza musulmana non ha avuto esitazioni. Così come l’Algeria, che ha interessi suoi nella regione del Sahel, teme il contagio di una nuova sanguinosa stagione di terrorismo».
E la Russia di Vladimir Putin?
«Ho parlato proprio questa mattina con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Mosca condivide la necessità di non far cadere il Mali in mano a gruppi terroristi e lo stesso vale anche per la Cina».
Lei ora è in partenza per Pechino, quale è l’obiettivo di questa missione?
«La creazione di un Fondo Globale per il Sahel. Dopo la Cina andrò in Russia, contatti sono in corso in merito con gli Stati Uniti e l’Ue. L’obiettivo è creare un grande fondo di aiuto per l’Africa al fine di trasformare questo Continente da terra in contese fra potenze in un’occasione di cooperazione. È un obiettivo che rientra nel mandato ricevuto dal Segretario generale dell’Onu».
Ci spieghi perché…
«Il mio incarico prevedeva l’inizio di negoziati fra le parti in Mali, il soccorso umanitario alle centinaia di migliaia di profughi causati dal conflitto e il piano per uno sviluppo futuro del Sahel. I negoziati in questo momento sono impossibili e dunque restano gli altri due binari di azione, con il Fondo globale sul Sahel che può davvero porre le basi per il futuro migliore di una delle aree più povere del Pianeta».
Quali le implicazioni per l’Ue dell’intervento militare francese?
«C’è coesione anche nell’Ue, che ha già deciso di inviare istruttori per le forze governative in Mali e vede la Germania di Angela Merkel, che ebbe molti dubbi sull’intervento in Libia, sostenere con determinazione quest’operazione».
Quale immagine l’ha colpita di più lasciando Bamako?
«L’annuncio stupito e sollevato dell’arrivo dei francesi, prima ancora che il Consiglio di Sicurezza si riunisse».