L’ Unione europea monetaria, finanziaria e politica passa attraverso tre decisioni
Prodi: «In Ue nuovi rapporti di forza. E l’Italia è tornata»
«La Germania ha capito che la piattaforma presentata non poteva essere rifiutata. Con una rottura sarebbe finita l’Europa».
Intervista di Simone Collini a Romano Prodi su L’Unità del 1 luglio 2012
Se il Consiglio europeo di giovedì e venerdì è riuscito a dare «una prima risposta concreta all’emergenza», se con le misure decise a Bruxelles si è recuperata quella «solidarietà» che finora era mancata nell’affrontare la crisi è perché, dice Romano Prodi, «è cambiato il fronte politico».
Grazie al cambio di governo in Francia?
«Ma non perché Hollande sia socialista. Semplicemente, la gestione solitaria franco-tedesca aveva fortemente indebolito la Francia».
Mentre oggi?
« È tornata a fare la Francia. E l’alleanza con Italia e Spagna, che parte da comuni interessi, ha cambiato il rapporto di forza del Consiglio europeo. Questo ha prodotto alcune decisioni che rovesciano la tendenza precedente di un’Europa sempre più frammentata, mentre ora è possibile un’ azione comune fra Paesi europei».
Forse fra alcuni Paesi contro la Germania, non crede?
«No, non avrebbe senso lavorare contro la Germania. È necessario dimostrare a Berlino che c’ è un fronte comune che ha piattaforme nuove ma accettabili per tutti. Se al Consiglio europeo ci fosse stata una rottura con la Germania ci sarebbe stata la fine dell’Europa. Invece è emerso un diverso rapporto di forza e la Germania ha capito che la piattaforma presentata non poteva essere rifiutata. La Germania è la prima a non avere convenienza alla rottura. Dall’Europa e dall’Euro sta guadagnando posizioni di forza e di ricchezza che prima non si sognava di avere».
Cos’ha fatto la differenza, all’appuntamento di Bruxelles?
«Un accordo stretto tra Francia, Italia e Spagna aveva spazio per potersi affermare. E così è stato». E cosa ha reso possibile l’accordo, visto che non si tratta di Paesi con governi politicamente simili? «Sono Paesi che hanno interessi simili. E che li interpretano. Sarkozy non interpretava gli interessi della Francia perché riteneva di poter reggere da solo il confronto con la Germania. Ai precedenti vertici, la Cancelliera tedesca dettava le conclusioni e il presidente francese faceva una conferenza stampa per comunicarle».
Prima c’era Sarkozy ma c’era anche, per quel che ci riguarda, Berlusconi: una valutazione dell’operato di Monti?
«Con Monti l’Italia ha capito che stando da sola perdeva. Berlusconi ha portato l’Italia in un angolo. E in politica se stai in un angolo non vinci neanche se ti chiami Merkel, figuriamoci se ti chiami Berlusconi».
Pare che Monti abbia minacciato il veto, pur di portare a casa il risultato: ha fatto bene?
«Quando in un club, in un consiglio di amministrazione, in un comitato politico cambiano i rapporti di forza, ciò non avviene con semplici atti di amore. Ogni cambiamento richiede un momento di durezza, un momento in cui si rende evidente che c’è un mutamento degli equilibri. Per questo è importante che Francia, Italia e Spagna siano andati insieme».
Difficile pensare che tre governi così diversi possano proseguire compatti e forse è meglio lavorare a rafforzare il fronte dei progressisti che tanto ha insistito sulla crescita, o no?
«L’insistenza sulla crescita è un’esigenza drammatica di tutti e tre quei Paesi. È vero che sono guidati da un governo tecnico, da uno di destra e da uno di sinistra. Però hanno tutti lo stesso problema, derivante da quella politica del rigore astratto che non teneva conto della realtà. È questo che ha portato alle difficoltà che abbiamo di fronte ed è questo che ha unito in un solo disegno tre governi di colore diverso».
Col vertice di Bruxelles si può dire alle spalle quella politica?
«Sicuramente col Consiglio europeo è cambiata la direzione. Poi la riunione dell’Ecofin del 9 luglio dovrà tradurre in pratica le decisioni assunte. Quel che deve essere però chiaro a questo punto è che le misure decise sono sì positive, però la risposta all’emergenza, pur necessaria, non è sufficiente. Non ci può cioè essere una Unione europea monetaria, finanziaria e politica stabile se non si passa attraverso tre elementari decisioni».
Che sarebbero…
«Il rafforzamento dei poteri della Banca centrale, gli Eurobond, cioè la condivisione del debito pubblico dei Paesi comunitari, e un bilancio europeo di dimensioni più adatte alle necessità dell’Europa».
Merkel ha sempre detto che finché ci sarà lei non ci saranno gli Eurobond.
«La Germania è ancora ferma su questo, ma ormai è chiaro che la direzione in cui andare è quella di una maggiore integrazione europea. Al vertice di Bruxelles sono stati posti rimedi a un deterioramento rapido, ma non abbiamo assolutamente chiuso con tutti i grandi problemi che ci stanno di fronte. Bisogna rafforzare la casa dell’Europa con quei pilastri che all’inizio non si sono voluti porre. Sapevamo fin dall’inizio che erano indispensabili, ma presto capii che per far ragionare i governi europei si sarebbe dovuto passare attraverso una crisi».
E però non dura da poco, questa crisi…
«Finora è stata attraversata con poca saggezza. All’ultimo vertice ne è arrivata un po’. Non basta per rovesciare la direzione della speculazione ma intanto accontentiamoci di quanto avvenuto e guardiamo all’aspetto politico emerso, perché quello è lo strumento che dovrà essere usato in futuro per i cambiamenti necessari».
Quanto al futuro nostrano: secondo lei il Consiglio europeo spazza via le ipotesi di voto anticipato?
«Ho sempre pensato che il governo Monti avrebbe cavalcato tutta la legislatura. Credevo prima e credo ancor più oggi che si arrivi a elezioni la prossima primavera».
Insomma bisogna aspettare il 2013 perché si torni alla normalità democratica?
«Questo governo è stato ed è approvato dal Parlamento, ha assoluta normalità democratica. È chiaro che siccome non esiste in occidente alcun sistema democratico che prescinda dai partiti, questi dovranno tornare ad avere un ruolo attivo. Ma al di là della condizione speciale che presenta questo governo la normalità democratica è indubitata».
La fiducia nei partiti è in costante calo: il motivo, secondo lei?
«Se i cittadini si allontanano dai partiti è perché assistono a comportamenti in cui l’interesse di appartenenza prevale rispetto all’interesse del Paese».
Parlavamo di normalità democratica: può esserci se si dovesse tornare alle urne col Porcellum?
«Occorre un cambiamento di legge elettorale se vogliamo una democrazia al servizio del cittadino e un governo stabile».
Nuova legge: di che tipo?
«Bipolare, o di tipo britannico o ancor meglio di tipo francese, con il doppio turno. Con una pluralità di partiti sono necessari raggruppamenti, in modo che l’elettore, al secondo turno, abbia di fronte un quadro chiaro e sappia per chi votare».
Cosa che con un sistema proporzionale non sarebbe possibile?
«Guardi, nello stesso giorno si è votato il primo turno in Francia e ci sono state le elezioni in Grecia. C’è stato circa lo stesso risultato, con le frange estreme che hanno pesato in egual modo. Ma in Francia si è poi creato un governo stabile, la Grecia è stata costretta a ripetere il voto. Mi sembra che una riflessione su questo sia da fare».