L’accordo USA Russia è fondamentale perchè ciascuno controlla Paesi che si comportano in modo ambiguo
Le parole del Papa in Africa sono un ammonimento alla politica internazionale
Intervista di Antonella Mazza a Romano Prodi a Radio InBlu del 29 novembre 2015
Intervistiamo Romani Prodi, ex presidente del Consiglio, fondatore della Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli, sul viaggio del Papa in Africa.
Il Papa sta facendo un appello alla giustizia sociale ed alla solidarietà. E’ interessante perché questo di Bergoglio è un ammonimento fatto a tutti. Ha richiamato le colpe dei Paesi ricchi ma ha richiamato con la stessa forza anche le ingiustizie del continente africano. In un Continente di un miliardo di persone, centomila famiglie dispongono di più della metà delle ricchezze africane.
C’è una frase molto forte che ha detto il Papa alle autorità del Kenia appena arrivato in Africa. Ha detto che l’esperienza dimostra che la violenza, il conflitto, il terrorismo si alimentano con la paura, la sfiducia e la disperazione che nascono dalla povertà e dalla frustrazione. Si può dire che l’ISIS si alimenta dalla paura?
E’ vero. Si alimenta da tutti e tre gli elementi individuati dal Papa. Se lei li analizza uno alla volta può anche pensare che non sia vero. Molti di questi terroristi sono di seconda generazione, non hanno miseria, hanno una vita, a volte, anche borghese. Ma questa mistura di estraneità, di disperazione e di povertà crea quel substrato che porta molto spesso a sentirsi diversi. Ad essere ostili e a volte anche violenti con gli altri.
Anche in Africa sta crescendo il jihadismo. Ci sono zone dell’Africa che possono essere nuove frontiere per il terrorismo fondamentalista?
Purtroppo molte. C’è una zona di grande influenza del terrorismo appena sotto l’Algeria e nella parte Nord del Mali, ma subito sotto c’è Boko Haram e i rapporti fra questi due terrorismi sono rapporti molto stretti. Poi c’è una terza zona, in mano ai terroristi, che è il Sinai. Se le sommiamo tutte insieme, questa “grande ISIS” ha una estensione anche maggiore di quella dell’Iraq e della Siria in mano al Califfato. Queste ultime sono zone certamente più densamente popolate ma molto meno estese.
Ci sono campi di addestramento anche in Africa?
Quando ero inviato dell’ONU si parlava di questo. I centri di addestramento non sono organizzati in modo massiccio come in Siria ma l’allenamento e l’addestramento c’erano certamente ed erano paralleli ad un enorme traffico di armi. Quindi esaminando la sua domanda in modo complessivo la risposta è: purtroppo sì.
Lei sul Corriere della Sera dice che “da un anno sostengo che senza un grande accordo tra Stati Uniti e Russia non si po’ uscire dal buco del terrorismo.” Veramente la strada per sconfiggere il terrorismo è quella di un grande accordo fra Mosca e Washington?
Assolutamente. Non solo per l’importanza di questi due Paesi, ma perché ciascuno ha la possibilità di controllare degli alleati che si comportano in modo ambiguo. Questa è la chiave. Perché questi traffici di armi avvengono solo perché ci sono Paesi che li tollerano o che addirittura li favoriscono. Tutti questi Paesi dipendono sia per la loro vita militare che per la loro vita economica dalle due grandi potenze.
Diamo un nome alle cose. E’ inutile stare a pensare che se non c’è l’accordo ci possa essere una pace. Se non si creano le condizioni per un accordo, ognuno di questi Paesi, diciamo così “indipendenti” fa il suo gioco. E allora va a comprare il petrolio prodotto dall’ISIS, permette che passino le armi, favoriscono tutti i traffici, anche di esseri umani, lavorano sulla pelle dei poveri migranti. C’è poco da fare: o c’è un’unione fortissima contro il terrorismo oppure non pensiamo di vincere.