L’assalto alle forze di pace Onu, simbolo dell’assenza della diplomazia

Prodi: l’assalto alle forze di pace Onu, simbolo dell’assenza della diplomazia
L’ex premier italiano e presidente della Commissione europea sostiene l’appello del Papa a rispettare l’Unifil in Libano: o noi ci identifichiamo con le Nazioni Unite, oppure quel poco di ordine, che è ancora poco, va nel nulla. L’auspicio che, almeno dopo le elezioni americane, ci sia un dialogo tra Cina e Usa e si calmino le acque

Intervista di Antonella Palermo a Romano Prodi su Vatican News del 14 ottobre 2024

“Gli attacchi contro le postazioni della missione Unifil sono inaccettabili”, così l’Alto rappresentante europeo per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che al suo arrivo al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo, rende noto l’accordo dei 27 Stati membri a sostegno di forza di pace dell’Onu. È assolutamente inaccettabile, ha detto, attaccare le truppe delle Nazioni Unite”.

Intanto, l’esercito israeliano esorta i civili libanesi a evacuare altri 25 villaggi nel sud del Paese e, nel nord della Striscia di Gaza, diverse persone sarebbero state uccise in un attacco dell’artiglieria israeliana contro un centro di distribuzione alimentare dell’Unrwa (l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi) a Jabalia.

Romano Prodi, già Presidente del Consiglio italiano e della Commissione europea, commenta con i media vaticani l’appello di ieri all’Angelus di Papa Francesco perché proprio la missione Onu sia rispettata.

Ascolta l’intervista a Romano Prodi

Presidente, come ha accolto l’appello di ieri del Papa perché siano rispettate le forze di pace dell’Onu in Libano?

Lo accolgo con speranza perché è la parola unica che si può avere. La situazione infatti è molto molto pesante. Ci sono avvenimenti che mai avevamo potuto vedere nella nostra storia. Sparare contro le truppe dell’Onu è qualcosa di diverso dal solito. Cosa si vuole, far la guerra al mondo? O noi ci identifichiamo con l’Onu, oppure quel poco di ordine, che è ancora poco, va nel nulla. Inoltre, ho anche un problema personale, nel senso che la organizzazione più forte di questa missione l’ho proprio curata con il mio governo, con il segretario dell’Onu e con grande soddisfazione della ministra degli Esteri israeliana, con cui mi ricordo abbiamo fatto un “patto di ferro”, così era chiamato. Perché erano d’accordo il governo israeliano, il governo libanese. Queste cose non possono essere spezzare senza fare un grave danno al mondo.

In questi anni, cosa ha fatto degenerare a tal punto la situazione?

Il mondo che si è sempre più diviso. Speravamo, dopo la caduta del muro (di Berlino, ndr), ci fosse un momento di unità, di cooperazione. E c’è stato. Poi, via via, le tensioni sono aumentate e il mondo oggi è sempre più diviso in due blocchi: west (ovest) contro rest (il resto del mondo), si dice. Questo è proprio ciò che non deve avvenire. Non c’è nessun interesse del west ed è un dramma per il resto del mondo. Però dobbiamo aspettare le elezioni americane, di questa incertezza americana Netanyahu si sta ovviamente approfittando ed io ho paura che per un po’ di tempo non si possa parlare di pace.

Secondo lei, qual è la strategia, se ce n’è una chiara, che sta inseguendo il premier israeliano?

Conquistare tutto il territorio, sostanzialmente un’azione di espulsione di tutta la presenza palestinese. Mettere la comunità internazionale di fronte a uno stato di fatto. Del resto, già oggi, oltre Gerusalemme, nella Palestina abbiamo 500 mila coloni. Quindi, è già compiuta, ecco.

Hezbollah, l’Iran, Hamas sono intenzionati a contrastare questa azione…

In questo momento non hanno la forza di fare nulla. Sul campo, in realtà, la forza di Israele è preponderante. Vedremo come si evolveranno i rapporti internazionali, ma certamente vi è una superiorità militare da tutti riconosciuta, è un dato di fatto. Poi c’è un altro problema: quella meravigliosa frase del Papa “la guerra mondiale a pezzi” purtroppo è proprio vera. Noi abbiamo l’attenzione sul conflitto arabo-israeliano ma tutto il Medio Oriente è in subbuglio. Pensiamo a cosa sta succedendo nel Sudan, nel Mar Rosso… Tutto si aggiunge con i Paesi che ora si accostano all’una o all’altra parte con una instabilità impressionante. E certo, ci vorrebbe la Conferenza internazionale in questi casi, ma non sono così ingenuo da pensare che possa avvenire in un tempo fattibile, in un tempo rapido. Mi auguro che almeno dopo le elezioni americane ci sia un dialogo tra Cina e Stati Uniti che in qualche modo calmi le acque.

Infatti il Papa ha ricordato ancora una volta il Sudan, il Myanmar, Haiti, l’Ucraina…

E certo, il Myanmar e Haiti sono fuori da questa zona con un ulteriore dramma, drammi tuttavia ‘isolati’. Tutti i Paesi che abbiamo elencato sono tessere di un unico mosaico.

Ma perché la diplomazia sembra incagliata?

Non sembra, è incagliata. Non c’è neanche per l’Ucraina, è una situazione incredibile. L’assalto al presidio Onu mi ha preoccupato perché è il simbolo più palese della mancanza di diplomazia.

Si tratta di una deficienza della diplomazia stessa oppure di una presunzione di superiorità che va avanti contro tutto e tutti?

È il periodo della forza. E la diplomazia è messa in un angolo. È chiaro, l’indebolimento dell’Onu non è un fatto di oggi, è una cosa lunga e progressiva. Le grandi potenze l’hanno sostituita, il Consiglio di Sicurezza ha reso l’Assemblea dell’Onu emarginata. Però è simbolico questo ulteriore passo perché mai si era andati con le armi contro chi rappresenta la più elevata diplomazia del mondo, l’Onu.

Presidente, lei ha sempre valorizzato il ruolo di un Mediterraneo di pace. È sconfortato?

Si, recentemente ho fatto la proposta di università miste, paritarie tra il Nord e il Sud del Mediterraneo per ricreare almeno quei rapporti che erano migliori sotto gli ultimi anni dell’Impero Ottomano che non oggi. Siamo arrivati a questo assurdo. Però tutto è faticoso, non c’è lo slancio dell’Unione europea per pensare al futuro del Mediterraneo, a costruire luoghi comuni in cui i giovani crescano. Perché la politica di oggi pensa solo al breve periodo. Per fare queste cose ci vogliono anni. La democrazia è in crisi, davvero. È in crisi il pensiero lungo, è obbligata, la democrazia – mi dispiace usare questo termine – a pensare solo alle prossime elezioni.

Ascolta l’intervista a Romano Prodi

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
ottobre 14, 2024
Interviste