Lula ha promosso lo sviluppo del Brasile senza aumentare il divario tra ricchi e poveri
Intervista di Maurizio Caprara a Romano Prodi su Il Corriere della Sera del 3 ottobre 2010
L’ ex presidente del Consiglio italiano giudica il successo del leader sudamericano
Prodi: «Ha saputo scegliere il populismo ben temperato»
Ha saputo coniugare la riduzione del divario sociale con lo sviluppo economico
ROMA – Da sindacalista era «di un populismo estremo», poi una volta presidente del Brasile ha maturato la capacità di ricorrere a «un populismo ben temperato». E’ riuscito a prendere «come un insegnamento» le sconfitte elettorali che precedettero il suo primo mandato a capo dello Stato del 2002. Ha dato impulso ai desideri di riscatto del suo popolo ottenendo il risultato «storico» di far progredire il suo Paese nell’ economia mondiale e nella politica internazionale senza aumentare il divario tra ricchi e poveri.
Questo è secondo Romano Prodi il fondatore del Partito dei lavoratori brasiliano Luiz Inácio da Silva detto Lula, statista dal passato operaio con il quale il professore ha avuto contatti da presidente della Commissione europea e presidente del Consiglio.
Quale considera il merito principale di Lula negli otto anni della sua presidenza che sta per concludersi?
«I meriti sono due, ha reso compatibili due obiettivi che in genere non lo sono.
Primo: ha lanciato lo sviluppo del suo Paese sotto i profili interno e internazionale in continuità con il predecessore Fernando Henrique Cardoso.
Secondo: ha diminuito la disparità di reddito tra classe più alta e più bassa, nei Paesi in via di sviluppo di solito accade il contrario. Adesso in Brasile la distribuzione del reddito è simile a quella negli Usa».
Dove però la distanza tra ricchi e poveri aumenta.
«Sì, ma le basi di provenienza sono diverse. Lula ha ricevuto uno dei Paesi che avevano la peggiore distribuzione del reddito al mondo. Dieci anni fa il reddito pro capite medio brasiliano era circa tremila dollari, oggi è tre volte tanto. Mica cosa da poco. E’ storico. Il tasso di povertà assoluta tra la popolazione è sceso dal 17% all’ 8%».
Quanto ha contato la sua capacità di stringere alleanze?
«Molto. Lula ha ottenuto grandi appoggi dalla comunità degli affari e li ha utilizzati per avere più equità. Ha dato orgoglio alla Petrobras, alla chimica, al settore dei biocarburanti. Anche con una politica industriale statalista, intendiamoci, ma ha sollecitato nel Paese un orgoglio volto al rilancio che ha portato l’ Economist a definire Lula “stratospherically popular”».
Quale ritiene il suo principale demerito?
«Con questi risultati, i demeriti… Bah, negli ultimi anni ci sono stati alcuni scandali. Ha giocato con una sottigliezza non semplice da riprodurre: un po’ di statalismo, un po’ di business, un po’ di favori alle multinazionali, tutto unito da un sapore personale, non da una dottrina. Non sarà facile fare la stessa politica senza Lula».
Quando lo conobbe?
«Venti, venticinque anni fa. In un convegno di sindacalisti a Roma. Era di un populismo estremo. Le sconfitte elettorali lo hanno forgiato, non indotto ad allontanarsi dal Paese. Le prese come un insegnamento e ha usato un populismo ben temperato».
Il presidente Lula è anche quello che ha offerto una sponda al collega iraniano Mahmoud Ahmadinejad quando ha stretto un accordo con Turchia e Iran favorendo i piani nucleari iraniani. Le pare che all’ Europa, all’ Italia, questo convenisse?
«No. Però ha potuto farlo perché, un po’ come la Turchia, ha esercitato una politica estera di grande intelligenza. Si è reso indispensabile e ha agito affinché il Paese più grande dell’ America Latina non andasse verso un populismo esasperato: è stato vicino agli Usa, da elemento di stabilità dell’ America Latina, e in convergenza con l’ Europa. Poi ha impiegato questa indispensabilità per avere più autonomia nel mondo».
Però per l’ accordo con l’ Iran ha irritato gli Stati Uniti, accentuato i timori di Israele.
«Certo. Tuttavia Lula non ha strappato. Si è mosso con un altro Paese indispensabile all’ Occidente, la Turchia, e dialogando con l’ Egitto».
L’ esperienza di Lula potrebbe offrire qualche insegnamento al centrosinistra italiano?
«Ricordare che nel 2000, quando venne in Italia alla Festa dell’ Unità, venne del tutto snobbato».
Meno puzza sotto al naso?
«Bisogna favorire entusiasmo popolare su temi molto comprensibili. Ne servono pochi. Ma capaci di attrarre l’ entusiasmo della gente».