Non ne usciremo se non ridiscutiamo politica economica, distribuzione dei redditi e occupazione
«Non è solo un problema di profughi, ma soprattutto di politica economica e di distribuzione dei redditi e del lavoro». È la puntuale disamina dell’ex presidente del Consiglio e della Commissione europea che martedì 14 giugno interverrà a un dibattito su questi temi con il cardinale Scola presso Palazzo Clerici
Intervista di Pino Nardi a Romano Prodi su ChiesaDiMilano del 13 giugno 2016
«Una sempre maggior parte di popolazione si sente emarginata, la classe media è andata scomparendo o ha perso di significato, la ricchezza si è accumulata soprattutto in poche mani, in un numero limitato di persone. Tutto ciò produce insicurezza e paura. Ed è chiaro che questo è l’alimento che rende forte i nuovi partiti che noi abbiamo definito populisti». Romano Prodi, già presidente del Consiglio e della Commissione europea, riflette su un’Europa che arranca di fronte alle attuali sfide e a un’opinione pubblica che esprime crescenti consensi a partiti di estrema destra, in una Ue che da tempo ha smarrito i propri valori di solidarietà e accoglienza. Prodi interverrà a un dibattito con il cardinale Angelo Scola su «L’Europa al bivio», promosso dall’Ispi martedì 14 giugno alle 17.30 in via Clerici 5 a Milano.
Presidente, partiamo dai profughi contro i quali si alzano muri e fili spinati. Come legge queste scelte? Non si tradiscono così i valori europei di accoglienza e solidarietà?
Devo dire che questi valori si sono affievoliti da un pezzo. Non è solo adesso che abbiamo questi problemi, ma sono un dramma che l’Europa porta con sé da molto tempo. Naturalmente i profughi hanno una particolare intensità e significato umano, ma se pensiamo alla situazione precedente, come esempio soltanto il caso greco, anche in questa situazione non c’è solidarietà. I profughi portano un fatto nuovo, perché mentre prima i problemi colpivano soprattutto i governi, adesso colpiscono anche i popoli. Quindi è più evidente oggi la mancanza di solidarietà. Ma le confesso che dalla bocciatura della Costituzione in poi l’Europa di solidarietà ne ha avuta sempre poca e quando c’era da fare un intervento che avesse un significato generale e collettivo si è sempre trovata in difficoltà.
Il cardinale Scola da tempo sollecita le istituzioni europee a intervenire con progetti adeguati. Di recente ha rilanciato la proposta di una sorta di Piano Marshall. Lei che ne pensa?
Anch’io sono in perfetto accordo e ho insistito molto. Per la prima volta c’è una proposta organica di fronte alla Commissione di un grande piano di intervento serio, non tanto di aiuti, ma di investimenti per la trasformazione dell’economia africana. Ma siamo ancora in fase di discussione e il più delle volte, finora, quando si sono portati questi piani di fronte al Consiglio europeo – i rappresentanti dei Paesi – sono stati regolarmente o affossati o sminuiti. Perché il grande cambiamento dell’Europa è che gli organi sovranazionali, quelli che dovrebbero rappresentare la solidarietà europea come la Commissione, hanno perso di potere di fronte al Consiglio che rappresenta invece i singoli Paesi.
L’arrivo dei profughi sta provocando una diffusione della paura che si traduce in scelte politiche che premiano formazioni populiste di estrema destra e xenofobe. Quanto è profondo questo fenomeno? E quanto le forze democratiche europee ne sono consapevoli?
Il fenomeno è più profondo di quanto non si pensi e non è solo europeo. Trump si è affermato in modo inaspettato, tra l’altro con l’appoggio anche di classi popolari, perché ha capito l’aumento di queste paure e si è reso conto che i partiti tradizionali negli Stati Uniti – ma il discorso vale altrettanto e soprattutto per l’Europa – sono ancora impreparati a raggiungere questo obiettivo. Dobbiamo essere molto chiari: non è solo un problema di profughi, di immigrazione, ma ancora più generale, perché sia negli Stati Uniti sia in Europa la distribuzione del reddito è diventata sempre più iniqua. Credo che ci sia consapevolezza dei partiti tradizionali, ma non c’è la forza della coerenza per prenderne le necessarie conseguenze. Se non ridiscutiamo la politica economica e la distribuzione dei redditi e del lavoro il problema non si risolverà mai.
Lei è stato più volte critico sull’attuale politica della Germania. Da motore dell’Europa può diventarne il freno?
La Germania ha una responsabilità particolare, perché è di gran lunga il Paese più potente dell’Europa. Anche per gli errori altrui: la Francia si è progressivamente indebolita e la Gran Bretagna indicendo questo folle referendum si è messa ai margini. Quindi l’Europa in questo momento è in mano alla Germania, che ha il potere ma non è in grado di esercitarlo, non ha la coscienza politica per rendersi conto degli interessi generali. Quando gli Usa hanno vinto la seconda guerra mondiale, hanno fatto il Piano Marshall, non perché si fossero iscritti alla Caritas, ma perché capivano che avere alleati forti era per loro stessi una garanzia. La Germania segue invece dottrine e regole che si è autoimposta, senza rendersi conto delle diversità altrui, come nel caso greco.