Ora basta con le politiche sbagliate: l’Europa rimetta al centro equità e solidarietà
Prodi: memoria fragile, per salvarsi l’UE punti su lavoro e giovani
L’ex presidente della Commissione: «La crisi non è nata qui, ma alcuni leader europei hanno commesso errori negli ultimi anni. Le politiche miopi vanno cambiate»
Intervista di Stefano Giantin su Il Piccolo del 6 luglio 2014
Il centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale come occasione per riflettere sulla fragilità della memoria, ma anche per ragionare su cosa è diventata l’Europa un secolo dopo, continente ora in gran parte unito sulla carta, ma dove soffiano forti i venti contrari di una crisi che non è solo economica, è «d’epoca». Una crisi, racconta al Piccolo l’ex premier e già Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, che va affrontata con politiche «non miopi», con maggiore saggezza.
Presidente Prodi, si può trarre ancor oggi una lezione dalla mattanza della Grande Guerra?
Sì, se fossimo capaci di memoria storica. È stata una guerra che ha prodotto instabilità e creato tensioni tali da provocare il Secondo conflitto mondiale, come se il Primo non fosse bastato. Non portò certo stabilità nel mondo. Anche la fine dell’Impero ottomano che ne scaturì fu tale da lasciare eredità che tuttora insanguinano il mondo.
Ha ancora un senso ricordare, un secolo dopo, un conflitto che a molti appare remoto, indecifrabile?
Certo, se è un ricordare per riflettere e non fine a se stesso. Per riflettere soprattutto sulla fragilità della memoria. Non va dimenticato infatti che tra la Prima Guerra e la Seconda, anch’essa con l’aggettivo mondiale, trascorse una sola generazione.
Conflitto che divide ancora, ad esempio Belgrado e Sarajevo, in un centenario celebrato assai diversamente nei Balcani.
Celebrato in maniera opposta, da una parte l’inno all’assassinio, dall’altra lutto per l’assassinio. Ma la Francia e la Germania, quando sono entrate in Europa, erano gemelle? La grandezza dell’Europa è anche quella di offrire l’opportunità di allentare le tensioni. L’Europa ha raggiunto questo incredibile risultato, questo successo è nella sua storia. Ed è quello che io mi aspetto anche riguardo ai Balcani e alla fragilissima e tragicamente addolorata Bosnia. D’altronde, se non ci fosse stata l’Europa, anche il problema Serbia-Kosovo sarebbe stato ancora più grande.
Mentre si ricorda la Grande Guerra, sul “limes” dell’Ue la tensione è altissima. Ritiene che la crisi in Ucraina rientrerà?
Io ho sempre sostenuto che la crisi ucraina ha origine da un errore di percezione storica. L’Ucraina che non può vivere se non come un ponte fra l’Europa e la Russia. Invece è stata usata come un campo di battaglia. Le conseguenze negative non si misurano più. Spero solo che la diminuzione della tensione, che appare in atto negli ultimi giorni, proceda verso un accordo, verso la pace. Resta fermo un punto: l’Ucraina non può essere strumento di divisione, ma ponte tra Europa e Russia. Nell’ultimo giorno del mio ultimo governo, assieme ad altri Paesi europei, dissi no all’ingresso dell’Ucraina nella Nato al presidente americano Bush che voleva Kiev nel Patto Atlantico. Non certo perché non ritenga importante la Nato, ma perché sono convinto che l’Ucraina non debba appartenere a nessuna delle alleanze strette al suo Est e al suo Ovest. E nessun destino dell’Ucraina può essere realizzato acuendo le tensioni tra Unione europea e Russia, perché l’Ucraina è europea e russa al contempo.
E l’Europa? Cento anni fa stava per essere squassata dalla guerra, oggi è in gran parte unita. Pensa però che la crisi economica e sociale in corso abbia minato le fondamenta della comunità, i suoi ideali ispiratori?
È una crisi che non è nata in Europa. Siamo di fronte ad una crisi d’Epoca, come ha detto Papa Francesco. Sono in atto trasformazioni tecniche, tecnologiche, sociali, politiche profondissime. E’ in atto una completa trasformazione del mondo del lavoro con crescente difficoltà per l’occupazione delle nuove generazioni. Sono situazioni che non hanno nulla a che fare con la Grande Guerra e con l’Unione europea. Non è un problema che si possa imputare all’idea ispiratrice dell’Unione europea, ma piuttosto agli errori commessi dai leader dell’Unione in questi ultimi anni. La crisi del lavoro e la trasformazione dell’economia sono talmente profonde che vanno ben oltre i confini dell’Europa.
Ma lei vede una possibile soluzione, una speranza per le generazioni forse già perdute di giovani disoccupati?
Se si continua con la politica miope e divisiva degli ultimi anni, le speranze sono poche. Se invece si apre un periodo di dialogo e collaborazione, speranze ce ne sono. Certamente siamo di fronte a una rivoluzione tecnologica che tende ad aumentare la disoccupazione. Se non si riorganizzano i modelli di convivenza e se non si cambia rispetto a politiche economiche che conducono alla precarizzazione, il tasso di disoccupazione continuerà a crescere e con esso la disuguaglianza e le difficoltà del mercato del lavoro.
E l’Italia? Abbiamo un qualche ruolo, un peso da sfruttare per far mutare rotta al Vecchio continente?
L’Italia è un Paese importante nell’Unione europea, ma da sola non può portare la necessaria trasformazione. La stabilità politica deve portare l’Italia ad un ruolo di ‘collante’ tra Paesi come Francia, Spagna, Portogallo e Grecia che condividono gli stessi problemi: bassa crescita e difficoltà dell’occupazione giovanile. Un collante di interessi comuni che vanno anche nella direzione di una maggiore equità.
Tornando al tema iniziale, lei vede qualche similitudine tra l’Europa di oggi e quella del 1914?
Similitudini storiche ce ne sono poche. Quello era un mondo ottimista, direi quasi superficiale. Oggi c’è molta più coscienza della gravità dei problemi, quindi mi auguro che tutto questo porti anche a maggior saggezza.
E la sua saggezza? Ritiene immaginabile metterla di nuovo al servizio della politica, l’avere nuovamente un ruolo, in politica?
L’ho detto varie volte, mi avvio verso il settantacinquesimo compleanno, speriamo felice. Sono arrivate non una sola, ma diverse nuove generazioni in politica. Sto passando un periodo molto interessante della mia vita studiando, insegnando in giro per il mondo. E questo è il mio futuro.
Neanche sotto pressione accetterebbe un ruolo importante?
Le mie gare sono finite, l’allenamento a correre no. Ma le gare, quelle sì, sono finite.