Salvini come Bertinotti. Un consiglio a Draghi? Anche lui faccia presto
Prodi: «Salvini è come Bertinotti. Un consiglio a Draghi? Anche lui faccia presto»
L’ex premier: «Per il Quirinale non ho l’età, nel senso che ne ho troppa. Letta? Il ragazzo è cresciuto. Al Pd, al Colle e a Palazzo Chigi ci sono le persone che più stimo. Conte? è il cane pastore dei 5 Stelle: ma le pecore riluttanti sono già andate via»
Intervista di Massimo Franco a Romano Prodi su Il Corriere della Sera del 24 aprile 2021
“Salvini si è imbertinottato…”.
Può tradurre, professor Prodi?
“Il leader della Lega si è messo nella scia di Bertinotti”.
Intende dire Fausto Bertinotti, il segretario di Rifondazione comunista, al governo con lei nel 1996?
“Esatto. Sindrome classica delle coalizioni. Fai una scelta drastica, come quella di Bertinotti di coalizzarsi con l’Ulivo. Poi cominci a perdere consensi e la cosa ti fa diventare matto. E allora alzi la posta. Ti impunti anche sul niente, ogni giorno di più. Ma attenzione: questo fa perdere voti, non guadagnarli”.
Fa anche cadere i governi.
“Nel mio caso sì, perché Bertinotti poteva farlo cadere. Ma Draghi ha molte più riserve. È una grande differenza”.
Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo, ex premier e ex presidente della Commissione europea, ama mettere a confronto passato e presente; e cogliere i comportamenti eterni delle dinamiche del potere. Ma sa anche annusare i cambiamenti in atto. Inevitabile azzardare con lui uno scenario su quanto sta accadendo.
Fu lei a dire al Corriere alla vigilia di Natale, quando si parlava di Mario Draghi solo come ipotesi remota: “Quando va male si pensa sempre a un deus ex machina. Ma spesso gli italiani attendono un salvatore per poi crocifiggerlo”. Conferma?
“Beh, nel caso di Salvini sì. Non crocifigge Draghi solo perché non ha il martello. Ma alza la posta. Fa prevalere il suo interesse di parte”.
Forse non è il solo.
“Per ora sì, perché si è trovato lui con sondaggi calanti e con una concorrente diretta, Giorgia Meloni”.
Uno degli ultimi consigli che lei diede a Giuseppe Conte fu di fare presto, perché il tempo stava finendo. E il suo governo è caduto. Consigli a Draghi?
“Anche lui deve fare presto. Ma ha più tempo per vedere e mostrare al Paese i risultati positivi della sua azione, anche se tra pochi giorni, poche ore, dovrà presentare il suo piano a Bruxelles. Con Conte si percepiva una tensione montante“.
Forse perché si vedevano ritardi e lacune. In settori della sinistra e della destra si parla di continuità tra Conte e Draghi. Per lei? Vede continuità o cesura col passato?
“Discorso strano. Non c’è stata mica la Rivoluzione francese. E poi, vede, io ho sempre governato senza strappi, cercando di conciliare continuità e rottura. L’importante è sapere dove stai andando, darti degli obiettivi. Ma non vedo nell’attività di questo governo un cambiamento drammatico”.
In politica estera la sterzata è netta.
“Ma perché le cose stanno talmente cambiando che ti obbligano a sterzare, con cautela e insieme con la presa d’atto di quanto avviene. Pensiamo alla tensione crescente tra Stati uniti e Turchia, del tutto inaspettata. Joe Biden ha indetto una giornata in ricordo del genocidio degli Armeni, uno dei tabù per Ankara. Il tutto nonostante la Turchia vanti il secondo esercito della Nato, e sia padrona di mezza Libia, con Erdogan che agisce da padrone del Mediterraneo. Nel piccolo quadro geopolitico che ci riguarda, dobbiamo registrare il ritorno americano nel Mediterraneo”.
Attaccando Erdogan, Draghi ha intercettato questo ritorno?
“Non so se siano stati intuizione, coincidenza o ragionamento. Ma non posso non rifletterci, perché è cominciata una fase nuova nella quale siamo immersi”.
Draghi sta producendo scossoni anche nei partiti. E uno lo ha subìto il Pd con la segreteria di Enrico Letta. Questo la riavvicina al Pd?
“Tutti conoscono il rapporto di amicizia e fiducia che ho verso Enrico: lo chiamai a Palazzo Chigi come sottosegretario che era un ragazzo. Ebbene, il ragazzo è cresciuto. In Europa si è rafforzato e accreditato. E io, da spettatore più che da protagonista, per quanto angosciato dal debito che cresce, sono fiducioso: al Quirinale, a Palazzo Chigi e nel Pd ci sono le persone che più stimo. Se l’Italia non vince ora non vincerà mai”.
Angoscia comprensibile: il Covid accentua il ruolo dello Stato-mamma per necessità. Ma il debito non è un rischio, in prospettiva?
“È un rischio enorme. Mi permetto di dire che storicamente i governi di centrosinistra lo hanno diminuito, la destra lo ha aumentato; e che Draghi ha sempre condiviso la preoccupazione per il debito in crescita. Ma ci sono momenti nei quali non esiste alternativa. Ora il debito andava fatto per aiutare il Paese, anche se mi accorgo che ogni settimana la spesa in aumento corrisponde a una legge finanziaria. Il grande compito di Draghi è di realizzare riforme che permettano di intraprendere finalmente un cammino di crescita”.
Debito buono perché obbligato?
“Direi di sì, anche. Ma siamo noi che dobbiamo renderlo buono facendolo diventare uno strumento per il rilancio dell’economia e della produttività. I capitoli del piano per la ripresa mi sembrano giusti, soprattutto in materia di innovazione, istruzione e ricerca. Il problema è con quali strumenti verranno realizzati. Altrimenti non si recupera credibilità a livello internazionale”.
Quanto ha influito in negativo il peso del populismo?
“Certamente ha pesato con lo scetticismo sull’Ue, sull’euro, e in generale sulla cultura economica, sebbene il populismo esista in Italia da ben prima del M5S. Il loro è stato populismo aggiuntivo”.
E oggi in netto declino, si direbbe.
“Sì, anche se pensavo che nel momento in cui cercava di mettere ordine nel suo magma di stato nascente, il M5S sarebbe imploso. Invece è uscita solo una minoranza estremista: è possibile che coloro che sono rimasti trovino una coerenza e un equilibrio interni”.
Con Conte?
“E chi altro? Il cane pastore dei Cinque Stelle è lui”.
Un po’ esitante, non crede?
“Ma i cani pastore girano, vanno da una pecora, poi dall’altra. Ne mordono qualcuna riluttante al garretto per portarla dove c’è l’erba verde. E poi, quelle riluttanti sono già andate via: per ora meno del previsto, in realtà”.
Tra nove mesi si vota per il Quirinale. E l’indisponibilità di Mattarella a ricandidarsi apre molte incognite. Lei come le scioglierebbe?
“Non ne ho idea. E se si parla di indisponibilità, ne ha un’altra, la mia. Non ho l’età, come cantava Gigliola Cinquetti: nel senso però che ne ho troppa, quasi 82 anni. E poi sono stato un uomo di parte, e in fondo lo sono ancora. Credo che su Mattarella influiranno la sua volontà e gli eventi. Personalmente lo sento il mio presidente della Repubblica. Mi rende tranquillo e credo che renda tranquilla l’Italia”.