Trento e Bolzano attraggano giovani scienziati e ricercatori offrendo loro l’eccellenza che cercano
«Il Trentino sia come Grenoble, paradiso dei giovani studiosi»
Romano Prodi disegna un ruolo inedito per la nostra provincia «Usate le vostre risorse per attirare menti dall’estero»
Intervista di Alberto Faustini a Romano Prodi su Trentino e su Alto Adige del 31 gennaio 2014
«Sto benissimo. Ma sa cosa vuol dire benissimo? Benissimo».
Inizia così, la conversazione con il presidente Prodi: il professore ha da poco terminato la sua corsa mattutina («Otto chilometri, perché d’inverno mi piace di più correre; poi tonerò in sella alla mia bici») e s’appresta a partire per l’Africa. Tornerà giusto in tempo per fare un salto nella “sua” Trento. Per parlare di Mondo globalizzato. E per rispondere alla domanda che in molti si pongono: c’è spazio per l’Italia, in questo mondo globalizzato?
Partiamo dai giovani che incontrerà martedì all’Università di Trento.
“Il mio compito è quello di descrivere i cambiamenti che ci sono nel mondo, tentando di capire come dobbiamo cambiare noi”.
Prima regola?
“Sprovincializzarsi. Specializzarsi il più possibile. Ma non nelle cose generiche. Nei ruoli oggi necessari. Serve una preparazione tecnica molto intensa. E si deve considerare l’Europa come il quartiere nel quale si vive”.
Casa dolce casa addio?
“Non si può cercare lavoro a casa. Ci vuole fermentazione. Come dalle altre parti. A cominciare dagli Stati Uniti: lì la ripresa economica è fatta sempre di più da eccellenze, da uomini e donne di elevata preparazione e, soprattutto, da persone che arrivano da ogni parte del mondo”.
Basta essere cittadini del mondo?
“No. Ai giovani ricorderò anche che in questa realtà ci vuole una profonda convinzione etica. Vanno conservati i valori di coerenza e di pulizia che un tempo erano il vanto della società in cui viviamo. Il discorso glocal, globale e locale non è solo nella geografia, ma anche nella propria anima: globali con i cervelli, ma locali con il cuore e con l’anima”.
Sulla scena del mondo ne incontra molti di studenti così? Anche italiani?
“Tantissimi. Quando sono andato a Parigi per consegnare i diplomi alla facoltà di scienze politiche, alcuni ragazzi italiani mi hanno invitato ad un piccolo party. E da loro ho scoperto che un terzo dei vincitori degli ultimi due grandi concorsi per ricercatori accademici organizzato dal governo francese era italiano”.
Che giovani incontra, nelle aule di tutto il mondo?
“Ammetto che insegno in scuole d’élite, ma devo dire che sia in Cina che negli Stati Uniti vedo dei ragazzi che si pensano in grado di fare tutto. Pensano cioè di avere il mondo davanti a sé. Bisogna mettere in grado anche i nostri ragazzi di ragionare allo stesso modo”.
Tutta colpa dei genitori italiani?
“Abbiamo tutti una responsabilità. Genitori troppo protettivi e una società che tende più a conservare che a creare”.
I suoi figli ormai sono grandi. Ma che consiglio dà ai suoi nipoti?
“Devono avere radici forti e una volta fatte le radici, vanno spinti a correre per il mondo”.
C’è un momento giusto?
“Sono prudente. La ricetta dipende dal livello di maturità dei singoli. Ma penso che l’ideale sia che vadano a specializzarsi all’estero quando hanno terminato un arco di studi in Italia. Meglio insomma se sono già laureati, magari avendo fatto dei periodi di Erasmus che preparano ai passi successivi”.
Siamo migliori di quel che si dice?
“Naturalmente. Questi sentimenti da un lato mi fanno sperare, dall’altro mi rendono molto triste: perché non voglio vivere in un Paese dal quale le persone di alto livello se ne vanno e nessuna eccellenza arriva, in un Paese, insomma, con un’emigrazione a senso unico”.
E Trento e Bolzano hanno queste capacità?
“Sotto questo aspetto sono meglio del resto del Paese”.
Perché?
“Per le risorse che hanno. Ma anche perché sono un ponte culturale, perché attraggono ancora intellettuali dall’esterno. Ma è ancora insufficiente. Anche da voi. Mi piacerebbe che in un futuro questo fosse uno degli impegni prioritari delle due Province: dimostrare all’Italia che siamo capaci di attrarre energie dall’esterno”.
Ma oggi le Province autonome sono antipatiche al resto del Paese.
“Il tema dell’antipatia nei confronti di queste due Province c’è. E non mi stupisce che sia cresciuto in un tempo di crisi, in cui la mancanza di risorse si fa sentite in modo particolare”.
Soluzioni possibili?
“È importante che Trento e Bolzano usino parte delle risorse aggiuntive che la Costituzione loro riconosce per essere d’esempio al Paese. Non ci reggiamo sull’omogeneizzazione totale. E, data anche l’appetibilità di queste due splendide città, Trento e Bolzano devono svolgere per l’Italia il compito che ha svolto Grenoble per la Francia: attrarre giovani scienziati e ricercatori che vanno volentieri in città come queste se vi trovano l’eccellenza di cui vanno in cerca”.
Cito il titolo della sua conferenza: c’è spazio per l’Italia nel mondo globalizzato?
“Per l’Italia da sola no. Nemmeno per la Germania, da sola. Solo l’Europa ce la può fare. Ma ho paura che molti tedeschi pensino di poter svolgere un ruolo senza l’Europa. Se la Germania di oggi ha assunto una funzione così importante e ha una bilancia commerciale così attiva è certo per le sue grandi virtù, ma anche perché l’Europa intera l’ha aiutata nel suo processo di riunificazione e perché oggi l’economia tedesca è profondamente integrata con quella europea. Di fronte al mondo, tutti i Paesi europei sono piccoli”.
Perché fatichiamo così tanto a capirlo?
“Perché è la stessa Europa a sottovalutarsi. Le sue divisioni la stanno distruggendo. L’Europa è ancora il numero uno nell’economia mondiale (se vogliamo, a pari con gli Stati Uniti). È il numero uno nell’industria ed è il numero uno nelle esportazioni. Ma non contiamo nulla nella politica internazionale. Perché abbiamo compiuto il nostro processo di armonizzazione solo a metà”.
Serve un vero governo europeo o una testa nuova?
“Giro la sua domanda: bisogna cambiar testa per avere un forte governo europeo. Mancano i leader che io fortunatamente avevo come controparte quand’ero presidente della commissione. Kohl, ad esempio, vedeva il futuro della Germania solo in un quadro europeo. Non vedo la stesso atteggiamento oggi. Ma non vale solo per la Germania”.
Perché?
“Perché ogni leader guarda non al futuro lontano, ma alle prossime elezioni. Come diceva Degasperi: si pensa alle prossime elezioni anziché alle prossime generazioni… Per dire: anche il caso greco era facilissimo da risolvere: bastava non aspettare le elezioni del Nordrhein-Westfalen. Dopo quel voto, il costo della soluzione si era moltiplicato per dieci”.
Confessi presidente: quando torna da queste parti, dove da giovane professore insegnò e collaborò fra l’altro con l’allora presidente Kessler alla nascita del primo piano urbanistico, le viene un po’ di nostalgia?
“Come no? Ho avuto la fortuna di conoscere tutti gli aspetti della città e dei Comprensori e devo dire che i progressi sono stati enormi”.
Poi qualcosa s’è rotto?
“Ma tante decisioni successive sono partite proprio dalle idee di quel piano, soprattutto dall’idea di base: non far franare tutta l’economia verso la città. E a Trento è avvenuto effettivamente meno che altrove”.
Oggi sott’accusa ci sono le Comunità di valle, eredi dei “vostri” Comprensori.
“Sono troppo lontano, oggi, da questi temi che mi hanno appassionato cinquant’anni fa – mi dice il professore sorridendo -, ma quel dibattito è servito ad uno sviluppo più armonico del Trentino. Se dopo cinquant’anni il dibattito avesse le stesse caratteristiche sarebbe un bel disastro”.
Mi pare che non smetta di leggere i giornali italiani.
“Le confesso che li leggo tutti sull’ipad. Ho cambiato. Sono sempre in viaggio. E mi piace leggere anche leggere la cronaca di Bologna quando sono a Pechino. Anzi: mi piace proprio leggerla quando sono lì”.
È una delle forze anche dei nostri giornali locali.
“Sa cosa mi fa arrabbiare? Pensare che una parte dell’abbonamento che pago non vada a voi, ma ai detentori della tecnologie. Questo non è il mondo che gli europei devono costruire. È intollerabile”.
Due domande più leggere. Ne approfitterà per farsi una sciata o una pedalata con Moser, dal quale è stato una settimana fa per festeggiare i 30 anni del record dell’ora?
“Le confesso che volevo venire a sciare da voi proprio in questi giorni, ma non ci sono riuscito. Mi hanno messo in agenda uno degli ultimi incontri per la mia missione africana. Ma ho bloccato l’agenda”.
S’è già messo d’accordo anche con Moser per una pedalata?
“Le pedalate fanno parte della mia vita, ma non d’inverno. Sa che sabato mi sono divertito? Un momento di felicità e anche di malinconia. Si vede che le cose passano. Ma devo dire che rendersi conto con serenità che le cose passano è segno di saggezza. Ci rende sereni e tranquilli”.