Tutti contro tutti, ma l’Europa deve riscoprire la solidarietà

Euro2016“Siamo in ebollizione. Il calcio non frena più le tensioni politiche”

Intervista di Filippo Conticello a Romano Prodi su La Gazzetta dello Sport del 13 giugno 2016

Presidente, visti gli scontri? Che idea si è fatto di questo Europeo che sta prendendo fuoco?

“Gli scontri tra tifosi ci sono sempre stati, sia nei singoli Paesi sia a livello internazionale. Ma questa è una dimensione sconosciuta, una qualità diversa. È ‘tutti contro tutti’: si mescolano i tifosi delle singole squadre e i risentimenti alla base della attuale situazione europea. Si cerca l’occasione per scontrarsi, per canalizzare la rabbia proprio in una manifestazione come questa che dovrebbe mostrare il meglio dell’Europa”.

Ma che succede all’Europa? E, soprattutto, che succede al sentimento europeo che ci rendeva uniti?

“Semplicemente, si è perso. Prima l’Europa era una speranza: basti pensare ai Balcani che vedevano lì la fine delle loro tragedie. E invece adesso si è chiusa in se stessa e nelle proprie paure: non dà più il senso del rifugio. Per questo l’Europeo di calcio è partecipe di questa inversione di rotta. E le violenze hanno un significato politico: non sono scontri tra tifoserie, ma tra cittadini di diversi Paesi”.

E se davvero fosse Brexit?

“Spero e penso che non accadrà. Darebbe una ulteriore spinta alle forze che vogliono distruggere il Continente. Nel caso, mi auguro che provochi una reazione di tipo opposto: il dramma potrebbe portarci a più unione e solidarietà, a restare fedeli all’idea europea. Ma sotto traccia cova ben altro: si pensi, ad esempio, ai russi e al loro risentimento anti-inglese: non può essere sganciato dalla ripresa delle guerra fredda e dalle sanzioni“.

Fermiamoci alla parola “identità” e in quella europea c’è dentro il calcio: come fare a recuperarla?

“Quando la rottura era minore, il calcio era coesione. O quanto meno intervallo tra le tensioni, come le Olimpiadi nell’antichità. Ma per anni si è acuita la contrapposizione: consideriamo i milioni che vivono nelle banlieu, alla rabbia dei ragazzi di Marsiglia incapaci di identificarsi nella Francia e, quindi, nell’Europa. Un tempo il gioco era immune a tutto ciò, oggi invece è il simbolo che anche l’ultima barriera si è rotta”.

Nel 2006 ha vissuto la nostra festa in Germania: in dieci anni è tutto cambiato così tanto?

“Ricordo Italia-Germania 2006 e la sportività del pubblico tedesco, nonostante bruciasse la sconfitta. Spesso mi sono chiesto se una serata bella come quella oggi potrebbe ripetersi. Magari i tedeschi vedrebbero gli italiani come quelli che vogliono campare alle loro spalle e gli italiani vedrebbero i tedeschi come tiranni del rigore. Non sarebbe un divertimento comune perché la politica ha diviso questo necessario sentimento di coesione”.

E la crisi economica? In fondo, è stata ha tolto i presupposti per stare insieme.

“Ha acuito le tensioni che là si sfogano. Ma questa non è una rissa tra ricchi e poveri, dei russi o degli inglesi che vanno in Francia in trasferta  con qualche soldo in tasca. A parte i franco-algerini di Marsiglia, le violenze folli di questi giorni non coinvolgono emarginati, ma sono l’esempio del solco che si è scavato nel Continente. Una ripresa economica lo cancellerebbe? Non ne sono sicuro”.
Ha una ricetta per salvare l’Europa e, con essa, anche questo gioco?

Serve una leadership che comprenda il peso dei problemi, ma purtroppo il continente è sempre più nazionalistico. Più che le istituzioni intermedie, contano i governi nazionali e, tra questi, la Germania. Ecco, per prima Berlino deve riscoprire gli interessi collettivi e la solidarietà”.

E le partite le sta seguendo? Come vede l’Italia di Conte?

“Certo che le seguo: in campo, negli stadi è ancora uno spettacolo, per questo non roviniamo questo gioco così bello. Il Belgio è tosto, noi non siamo favoriti e, in fondo, è meglio così…”.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
giugno 13, 2016
Interviste