Una politica comune europea è l’unica via per fermare la guerra in Libia

ProdiProdi: “Solo con la pace in Libia finirà l’esodo con i barconi”
L’ex premier a Padova per il Cuamm: «L’Europa eroga pochissimi aiuti e non ha una politica per l’Africa, manca la strategia»

Intervista di Paolo Possamai a Romano Prodi su Il Mattino di Padova del 4 novembre 2016

PADOVA. «Per la guerra in Libia ancora non vedo uno sbocco. Siamo in presenza di una vera grande tragedia. Se non siamo capaci di mettere tutte le principali tribù attorno a un unico tavolo, ma ogni grande potenza continuerà invece a coltivare il proprio interesse con i singoli capipopolo, la guerra potrebbe andare avanti all’infinito. Finché le cose stanno così la guerra non finirà, ne siamo corresponsabili e ne vediamo un effetto con le navi dei migranti».

Parole di Romano Prodi. Tra i tanti incarichi di cui il suo cursus honorum è composto, rientra pure di aver guidato la commissione Onu per il mantenimento della pace in Africa. E proprio il tema della pace, anzi delle guerre che insanguinano il continente nero, è innesco della migrazione epocale con cui l’Europa, e l’Italia in primis, sta facendo i conti. Ne parlerà oggi (sabato 5 novembre) a Padova, all’evento annuale del Cuamm, al quale presenzierà anche il presidente Mattarella.

«Nonostante gli aiuti erogati dall’Unione europea – riprende Prodi – sinora non è di fatto esistita una comune politica dell’Unione europea rispetto all’Africa. Vi sono invece diverse politiche che dipendono dalla influenza che in passato gli ex paesi coloniali esercitavano nelle varie aree del Continente. L’unico paese che conduce una politica di scala continentale è la Cina, che ha relazioni diplomatiche con 51 paesi su 54».

Su quali elementi di base dovrebbe consistere a suo avviso una strategia dell’Ue per l’Africa?

«Per l’Africa urge un Piano Marshall: dovrebbe essere fatto di investimenti potenti e di una formidabile capacità di programmazione. Che non vedo, poiché l’Unione europea è ripiegata su se stessa e incapace di sognare. Se ci fosse un piano europeo, dovrebbe essere soprattutto di investimenti e di training per lo sviluppo autonomo del Continente. Parlo di un processo molto lento, ma che in alcune zone si sta avviando».

Negli ultimi anni l’economia africana mostra qualche segnale di crescita.

«L’Africa si è sviluppata più della media mondiale, ma teniamo conto da quali dati partiva. E poi parliamo di un recupero estremamente diseguale al suo interno, poiché media le forti diminuzioni di crescita dei paesi che fondano la loro economia sul petrolio, come la Nigeria e paesi, come l’Etiopia, che hanno iniziato un minimo processo di industrializzazione e di diversificazione del proprio sistema produttivo. Un processo lento e difficoltoso, ma senza alternative vere».

Qui viene in questione il rapporto con l’Occidente e il senso che gli aiuti hanno.

«Sgombriamo il campo da un equivoco: non esiste il rischio di eccedere negli aiuti dato che questi sono scarsissimi. Conosco bene la polemica, portata avanti anche da numerosi economisti. Ma in certe condizioni, quando un paese non ha nulla nelle sue strutture di base, non esiste altro che la possibilità di poter contare sugli aiuti esterni per tentare di avviare un processo di sviluppo. Solo in una seconda fase può subentrare una politica di animazione economica. Faccio presente che nel bilancio dell’intera Africa, la somma delle rimesse degli emigrati è superiore alla somma degli aiuti stranieri. Come dire che non è affatto vero che l’Africa vive di aiuti e nemmeno lo potrebbe. A malapena sopravvive».

Sviluppo, pace, migrazioni, interventi umanitari sono questioni strettamente legate.

«Solo chi non vuol vedere non capisce questo assunto di base. E su questo una strategia europea non esiste. Siamo al paradosso che qualsiasi nave europea che raccoglie in Mediterraneo una barca di profughi si limita a soccorrerli portandoli in Italia. Paradossale».

Ma la politica sempre più tende a ridurre il fenomeno migratorio a una pura contabilità sui morti e sui vivi che occorre accogliere.

«Vero. Quando parliamo di immigrati riduciamo la questione a numeri, come se non fossero persone. Forse il problema potrà essere gestito in modo più ordinato quando finiranno le guerre in Nord Africa e in particolare in Libia. Ma vorrei fare presente che entro la metà del secolo corrente la Germania perderà 10 milioni di abitanti, l’Italia almeno 5 e nel frattempo l’Africa salirà da uno a 2 miliardi. Governi e Ue latitano su tutto il fronte, dall’azione sul campo nei singoli paesi alla lettura non miope del fenomeno migratorio».

Riguardo all’azione sul campo, in qualche modo una opera di supplenza viene assolta da tante organizzazioni umanitarie e di volontariato come il Cuamm Medici con l’Africa.

«Il Cuamm è una realtà a suo modo eccezionale non solo per quel che fa, ma per come lo fa. L’Italia si caratterizza per interventi sporadici e di breve durata, il Cuamm invece garantisce una presenza continuativa in campo sanitario di centinaia di volontari specializzati e l’organizzazione è attiva da decenni nei paesi ultimi del mondo. Una garanzia assoluta per popoli e governi. Si prendono cura in modo assolutamente professionale delle popolazioni, ma con la generosità del volontario. Un volontariato professionale, tutt’altro che dilettantesco».

Volontariato professionale che mira a costruire professionalità in loco e confidare nell’autonomia dei popoli africani.

«Un ulteriore tratto dell’esperienza del Cuamm consiste nella forte tensione a istruire operatori locali nelle professioni sanitarie. La prima scuola per infermieri dell’Etiopia è stata realizzata dal Cuamm, tutta orientata a consentire loro un percorso di autonomia. Il Cuamm rappresenta un modello esemplare, perché nasce dalla speranza di poter contagiare in positivo i paesi in cui opera».

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
novembre 5, 2016
Interviste