L’Europa che (non) c’è…”e pur si muove!”
Articolo di Romano Prodi su Avvenire del 15 maggio 2020
L’articolo è un estratto del contributo di Romano Prodi al libro “La fede e il contagio nel tempo della pandemia“, pubblicato nella collana Quadrerni di Dialoghi dall’Editrice Ave.
L’intero libro si può scaricare gratuitamente qui.
Certamente con più lentezza di quel che si sperava, talvolta in una direzione che ci delude, ma l’Europa, nonostante i suoi numerosi detrattori che nel tempo non sono mai mancati, continua a muoversi e ad esistere. E tuttavia l’azione politica dell’Europa è stata tanto debole in questi anni da farci avvertire con delusione, in piena emergenza sanitaria, la mancanza di interventi più forti, generosi e solidali.
Di fronte al propagarsi dell’epidemia da Covid19 e ai conseguenti interventi massicci di Stati Uniti e Cina, ci manca l’Europa protagonista sulla scena mondiale in difesa degli interessi dell’Unione nella sua interezza. Sentiamo la mancanza dell’Europa che ha rappresentato il più grande cantiere di innovazione politica di tutti i tempi, quella della solidarietà e della collaborazione per il raggiungimento di obiettivi comuni e che ci ha reso la prima realtà in termini di reddito e il più grande esportatore del mondo.
Perché è stato grazie a quella Europa se abbiamo prosperato attraverso il libero mercato, goduto di una libertà di movimento inimmaginabile, conquistato la moneta unica.
Dai primi passi della Comunità del carbone e del l’acciaio al Mercato comune, dai progressivi allargamenti – unico vero esempio di esportazione della democrazia che non ha richiesto un solo colpo di fucile – fino alla costruzione dell’euro: ogni traguardo è stato sostenuto dall’entusiasmo convinto dell’opinione pubblica che ama l’Unione quando questa agisce per il bene comune.
Ed è certamente questa l’Europa che vorremmo oggi per difenderci dalla pandemia globale da Covid19 e dalla sue imminenti e gravi conseguenze sul piano economico e finanziario. Ma tutto è cambiato profondamente in Europa, già dal 2005, quando Olanda e Francia bocciarono la Costituzione europea. Da allora il potere si è progressivamente trasferito dalla Commissione al Consiglio, si sono accesi sempre più i nazionalismi, acuite le divisioni e accentuati gli egoismi dei singoli paesi.
Tutto ciò ha finito col produrre quell’immobilismo politico che non solo ha alienato il sostegno dei cittadini, ma ha impedito i necessari passi avanti in settori strategici come la politica estera, quella fiscale e la difesa.
Ad aggravare il quadro descritto sono stati l’avvento della crisi economico finanziaria, il fenomeno delle migrazioni di massa e la conseguente paura del terrorismo.
Dimenticati i successi raggiunti, il benessere di cui abbiamo goduto e le opportunità che l’Europa ci ha offerto, ci si è concentrati sul sentimento della paura e chiusi nella difesa delle singole sovranità. Nello scenario descritto si è inserita anche la Brexit.
E l’Europa è ancora, anche oggi, alle prese con vecchi e irrisolti problemi: l’inimicizia dei paesi del Nord nei confronti di quelli del Sud, la rigidità dei cosiddetti paesi virtuosi nei confronti dei paesi meno rigorosi sul piano dei conti pubblici, il sovranismo che si è fatto più forte e trasversale.
Oggi però la pandemia tocca tutte le nazioni europee senza che vi sia una responsabilità da attribuire all’Italia o alla Spagna e nemmeno alla Francia, la cui situazione l’accomuna, per la prima volta, ai paesi del Sud più che a quelli del Nord.
L’emergenza sanitaria ci porterà a dover affrontare la più grave crisi economica e sociale dal dopoguerra ad oggi, ma ancora non siamo convinti che dalle tempeste si esce insieme e uniti. Se oggi qualche paese dell’Unione sta pagando un prezzo più alto rispetto ad altri, prima di tutto in termini di vite umane, la crisi economica colpirà tutti i paesi europei, seppur con percentuali diverse.
Ma ancora una volta le decisioni che si assumono a Bruxelles obbediscono più a logiche di politica interna, sia da parte dei partiti di governo che di quelli dell’opposizione, che alla necessità di politiche comunitarie. Siamo arrivati al punto che esprimere una politica solidale, nei confronti dei paesi che oggi sono in maggiore difficoltà, è sentito come contrario ai principi fondamentali del proprio paese di appartenenza, senza che sia avvertita nessuna contraddittorietà rispetto ai valori fondanti dell’Unione europea a cui tutti apparteniamo!
E la dipendenza dalla politica interna è così forte che i partiti sovranisti del Nord e del Sud, accomunati da sempre nella loro politica antieuropea, si sono trovati l’uno contro l’altro armati in questa mitica battaglia fra paesi rigoristi e paesi meno virtuosi! La miglior decisione che l’Europa avrebbe dovuto prendere, per far fronte alle conseguenze del coronavirus, resta l’emissione di bond.
Decisione però impedita dalle divisioni europee. In questo ambito sono stati compiuti alcuni passi avanti nella prospettiva di una maggiore solidarietà, ma non sono ancora passi consolidati.
Tuttavia, per affrontare l’emergenza, qualche progresso è stato fatto: ci sono 100 miliardi di cassa integrazione per i paesi europei, un aumento di credito enorme da parte della Bce, un impegno della Bei sugli investimenti e la possibilità di ricorrere ad un rinnovato Mes, Meccanismo europeo di stabilità, senza condizionamenti politici, se non il capitolo di spesa riservato alla sanità.
E pur riconoscendo, con il dovuto equilibrio, che qualcosa in più rispetto al passato è stato fatto, la mancanza dell’Europa che vorremmo è tangibile e dovrebbe farci riflettere: essere critici, ma costruttivi, non è lo stesso che essere i nemici dell’Europa. Sentire la mancanza dell’Europa dovrebbe significare essere consapevoli che nessun paese, da solo, uscirà da questa inaspettata tempesta, che ci ha colti ancora una volta impreparati e divisi.
L’Europa esiste, “e pur si muove”, ma il suo moto non è ancora una completa rivoluzione