Abbiamo concepito l’Euro pensando a misure successive, ma non sono state mai realizzate
Perché l’Europa e l’Italia non funzionano più
Intervista di Lucio Caracciolo e Federico Petroni a Romano Prodi su “Limes, rivista italiana di geopolitica” del 26 novembre 2014
Oggi in Italia l’Europa e l’euro, un tempo riferimenti quasi indiscussi, sono scaduti a capro espiatorio di tutti i nostri guai. Come stanno davvero le cose?
”L’euro non è, come si dice comunemente, un progetto dei banchieri. È la più innovativa idea politica dopo la fondazione dell’Unione Europea: la grande e irreversibile decisione di unire gli europei in una sola entità politica a partire dalla moneta. Fallito nel 1954 il progetto della difesa comune, non restava che passare al secondo pilastro dello Stato vestfaliano: la moneta.
Da parte italiana, al di là delle questioni economiche, il dibattito sull’ingresso nella moneta europea era eminentemente politico. Nelle discussioni con i protagonisti di allora, avevamo chiara l’idea che l’Italia dovesse entrare alla pari con gli altri paesi europei. Restarne fuori avrebbe voluto dire essere emarginati, non disponendo di una strategia alternativa, di respiro più mondiale, a differenza per esempio del Regno Unito.
Sin da allora era evidente la necessità di accompagnare la moneta unica con altre decisioni fiscali ed economiche che approfondissero l’unità europea. Ma si doveva andare avanti in ogni caso: il processo era concepito come irreversibile e doveva conseguire una completa integrazione economica, non solo monetaria”.
Se era un progetto geopolitico, destinato a produrre uno Stato europeo, perché non si è partiti dalla politica?
”Era impossibile. Il clima politico non permetteva quel salto in avanti.
Le discussioni su una politica di difesa comune si erano fermate su progetti minimalisti, bilaterali, di cooperazione. Quanto alla politica estera, le divisioni sul Medio Oriente o sull’influenza americana nel nostro continente erano evidenti. Invece, l’aspetto monetario era affrontabile con argomenti tecnici, con i numeri, con le statistiche, che spesso tranquillizzano i politici e l’opinione pubblica. La valuta comune non era una scorciatoia, ma il progetto più realistico che si potesse intraprendere. Certo, nessuno avrebbe mai pensato a un cambiamento così radicale nel modo in cui i leader europei riflettono sull’Europa come quello intervenuto negli ultimi anni.
Perché l’euro è stato gestito con il criterio dei ragionieri, con quello che chiamai – deriso da tutti – lo «stupido» patto di stabilità. Ma la gestione dell’economia non si può irrigidire: qualunque economista sa che il bilancio deve essere flessibile.
La crisi dell’euro dipende dal fatto che l’abbiamo concepito pensando a misure successive che poi non sono state realizzate. Era ovvio che la valuta comune fosse solo un primo passo verso l’integrazione piena, economica e politica. Ma nel giro di quattro-cinque anni il dibattito politico europeo è diventato difensivo. All’Europa della speranza e dei passi in avanti è subentrata l’Europa della paura. Paura dei partiti populisti e della riemersione degli spiriti nazionalisti. Ma anche paura dell’allargamento dell’Unione Europea, comunque indispensabile dopo la caduta della cortina di ferro”.
Ma è sensato allargare lo spazio comunitario senza delimitarne i confini?
”Per me l’Europa deve finire dove finisce oggi, con la sola aggiunta dei restanti Paesi dell’ex Jugoslavia e dell’Albania…”
Leggi l’intervista integrale a Romano Prodi in “Quel che resta dell’Italia“