Adesso basta: ecco come ripartire prima degli altri
La scossa che serve – Dai consumi ai cantieri semplificare la ripartenza
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 17 maggio 2020
Negli scorsi anni piovevano statistiche per dimostrare che l’Italia cresceva meno degli altri paesi europei. È quindi arrivato il Coronavirus e le statistiche mostrano che la nostra economia cade più delle altre. Negli ultimi giorni già si scrive che ci riprenderemo in ritardo.
Adesso basta: dobbiamo fare di tutto per rimetterci in cammino prima degli altri.
I decreti per affrontare la crisi nel breve periodo sono sostanzialmente pronti e ci sono dentro tutte le risorse disponibili. Tenuto conto della nostra situazione debitoria queste risorse sono tante e, soprattutto, non possono essere di più.
Infine, dovendo venire incontro non a un singolo settore, ma a tutta la società italiana, comprendendo famiglie e imprese, non si potevano accontentare tutti, anche se qualche maggiore equità non avrebbe guastato. Non è ad esempio facile capire perché l’esenzione dall’Irap sia uguale per tutte le imprese, comprese quelle che hanno guadagnato da questa crisi. E come non si potesse invece aiutare maggiormente una serie di aziende del settore turistico che, per definizione, dovranno soffrire più a lungo.
Per non continuare ad essere gli ultimi della classe, dobbiamo dare ossigeno alla nostra economia, facendo riprendere subito la domanda: sia quella pubblica che quella delle famiglie.
Lo dobbiamo fare subito perché fra pochi mesi (al più tardi alla fine dell’estate) i fondi internazionali e le società di rating ricominceranno a mettere in discussione classifiche e scelte, mettendoci di nuovo in difficoltà.
La prima condizione per la ripresa è di non fare fesserie. Accettiamo quindi i 36 miliardi di credito che vengono dall’Unione Europea con il MES. Arrivano senza condizioni e tassi vicino allo zero. Non solo risparmieremo sette miliardi di interessi, ma ci presenteremo con minori rischi ed in modo meno affannato di fronte ai mercati internazionali.
Dopo di che bisogna dare un’assoluta priorità all’attivazione della domanda: questo è sempre stato l’unico strumento in grado di fare superare le crisi.
Riguardo alla domanda pubblica è certo commendevole aumentare le assunzioni nella sanità, nella scuola e nella ricerca, ma il loro effetto arriverà quando potrà arrivare. La domanda pubblica che ha svegliato in fretta l’economia è sempre stata l’edilizia, soprattutto nel settore dei grandi lavori.
Ne abbiamo già cantierabili e già dotati di copertura finanziaria per decine di miliardi: autostrade, ferrovie, scuole, ospedali, edilizia sociale e così via. Cito come esempio l’autostrada del Brennero, società quasi interamente pubblica e che ha risorse liquide vicino a un miliardo, con progetti già pronti, approvati e bloccati in attesa della nuova concessione.
Questo è solo uno di decine e decine di esempi, l’ho citato per primo semplicemente perchè ho avviato la mia analisi empirica partendo dal Nord.
Eppure, nelle centinaia di pagine delle nuove norme, non vedo alcun passo in avanti in materia, così come appaiono inutilmente complicate ed applicabili a ritmo di lumaca le disposizioni relative al pur vistoso aiuto fiscale ai restauri degli edifici privati.
Capisco che la stesura finale dei decreti sia affidata agli uffici legislativi dei ministeri che, dedicati alla pur legittima ricerca di garanzie nei confronti dell’incertezza in cui viviamo, non lavorano mai con la forbice e aggiungono sempre nuovi obblighi a quelli del passato, ma almeno in emergenza sarebbe doveroso cambiare rotta: le norme di semplificazione vanno affidate a qualcuno che sappia e possa usare più l’accetta e le forbici che la penna.
Ancora più importante, come dimensione quantitativa, è l’attivazione della domanda delle famiglie.
Giacciono in banca quasi mille e ottocento miliardi di liquidi e le famiglie hanno speso, in questi mesi di isolamento, venti miliardi in meno.
Questo denaro deve essere messo in circolo con tutta la velocità possibile, accelerando e incentivando la spesa dei consumatori.
Se continuiamo a dire che la crisi durerà all’infinito e che la fine del nostro sistema economico è vicina, non ne usciremo mai.
Questo non vuol dire iniettare inutile ottimismo, ma pungolare se stessi e i decisori ad agire. Siamo entrati in una fase nella quale non possiamo più dire che andrà tutto bene, ma in cui dobbiamo fare in modo che le cose vadano bene.
Domani è un giorno simbolico perché si è deciso di cominciare il cammino verso la normalizzazione delle nostre attività. Apriranno bar, ristoranti, catering e negozi. Conto che lo si faccia nel rigoroso rispetto delle regole e pronti a seguire tutte le eventuali nuove norme che lo svolgimento degli eventi renderà necessarie.
Mi permetto di riprendere un suggerimento che non cambierà certo le cose, ma che forse aiuterà a dare il senso che la ripresa è possibile.
L’Italia è il paese delle piazze: sono decine nelle nostre città, ma perfino ogni piccolo paese ha la sua piazza, simbolo della propria vita collettiva.
Attorno alle stesse piazze migliaia di ristoranti temono che il doveroso rispetto della legge renda difficile il loro lavoro. Perché quindi non fare in modo che le nostre piazze diventino, tutte le sere di questa lunga e incerta estate, i ristoranti di tutti noi, con i turni e le regole decise dalle loro associazioni di categoria?
Credo che ci andremo tutti volentieri, e credo che anche qualche turista straniero venga attratto dall’idea di cenare in Piazza della Signoria, di fronte al Duomo di Milano, in una delle infinite piazze romane, nelle piccole o grandi piazze di tutti i paesi, o di tutte le città italiane. E magari qualcuno si vestirà di nuovo, salvando un pur piccolo pezzo del campionario estivo dell’abbigliamento. In ogni modo sarà certamente l’occasione per stare insieme rispettando le distanze, ma senza soffrire.